Il fallimento del referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi che le Province le avrebbe davvero eliminate, ha contribuito a tenere in vita una sorta di mostro giuridico, con sempre meno risorse e, per giunta, con organi elettivi figli di strane elezioni di secondo grado con le indicazioni rimandate ai Comuni, privando i cittadini di scelte che per decenni erano state loro.
La stessa Corte Costituzionale in un recente sentenza, a proposito delle Province, ha sottolineato come sia “urgente un riassetto degli organi di queste ultime, risultando del tutto ingiustificato il diverso trattamento riservato agli elettori nel territorio della Città metropolitana rispetto a quello delineato per gli elettori residenti nelle Province”. Insomma, perché i cittadini eleggono il sindaco metropolitano e non possono eleggere il presidente della Provincia?
Da Latina parte la spinta per il cambiamento. Nicola Calandrini, coordinatore provinciale di FdI e presidente della commissione Bilancio del Senato ieri è stato perentorio: “L’abolizione delle province e la legge Delrio non hanno portato alcun risparmio alle casse dello Stato. Al contrario hanno messo in evidente difficoltà i piccoli Comuni, che hanno perso un loro ente di riferimento. Ora è importante che Governo e Parlamento procedano velocemente alla riforma della legge, in modo da tornare al più presto a enti provinciali elettivi e con margini autonomi di spesa e investimento. Far votare ai cittadini i propri rappresentanti è fondamentale. A questo bisognerà aggiungere una riforma completa degli enti provinciali, ai quali bisognerà fornire il personale tecnico e specializzato necessario per gestire i compiti che verranno loro assegnati”
Fratelli d’Italia, partito egemone del centrodestra, punta ad anticipare il Carroccio salviniano, sfilando dal calderone dell’autonomia la parte che riguarda le Province.
“A nove anni dall’entrata in vigore della legge Delrio è arrivato il momento di mettere fine alle lacune, alle contraddizioni e alle tante criticità di quella riforma e restituire agli italiani la possibilità di riappropriarsi di un concreto presidio della difesa per i territori”. A dirlo è Gaetano Nastri, esponente di spicco di FdI, novarese, rieletto in Parlamento e questore del Senato. Ma Nastri non si limita all’enunciato: è infatti firmatario, insieme al compagno di partito Marco Silvestroni, della proposta di legge per il ritorno all’elezione diretta degli organi provinciali, ma anche “per definire le competenze costituzionali e le responsabilità legislative e finanziarie al fine di migliorare l’esercizio delle funzioni delle Province e delle città metropolitane”. Il parlamentare piemontese, naturalmente, non manca di rimarcare quel “ripristino della sovranità popolare sancita dall’articolo 1 della Costituzione attraverso la sola modalità costituzionalmente prevista, cioè il suffragio universale, e la reintroduzione dell’elezione diretta del presidente e dei consiglieri della provincia e, ovviamente, la stessa cosa per il sindaco e i consiglieri metropolitani”.
Il ritorno a pieno titolo di questi enti “con funzioni, eletti, denari e poteri”, come ha scandito Salvini nel suo intervento, nei giorni scorsi al festival delle Regioni e delle Province autonome, sembra dunque destinato a salire nell’elenco delle priorità del Governo di Giorgia Meloni.
LATINA E LA CIOCIARIA CON NAPOLI
In avvio di legislatura è stata presentata la Proposta di legge costituzionale n. 277 (testo in calce), di iniziativa del deputato Morassut, che modificando gli articoli 114, 116, 131 e 132 della Carta costituzionale, cambierebbe radicalmente la fisionomia della Repubblica, sopprimendo ed accorpando alcune Regioni.
Resterebbero solo due Regioni a statuto speciale, Sicilia e Sardegna. Verrebbero ridotte da venti a dodici le Regioni italiane. La città di Roma, in qualità di capitale, acquisterebbe il rango di Regione. Queste, alcune delle novità previste dalla proposta di legge costituzionale depositata il 13 ottobre in Parlamento dall’onorevole Morassut, del Partito democratico.
La scelta di mettere mano alla fisionomia dello Stivale, si legge nella proposta, nasce per rimediare alla crisi del regionalismo italiano. Utile per guidare la crescita del Paese durante il boom economico degli anni sessanta, capace di valorizzare le comunità territoriali, le identità, le tradizioni locali, il patrimonio storico ambientale, il regionalismo sarebbe entrato in difficoltà negli ultimi quindici anni, quando la transizione dei partiti della Prima Repubblica all’attuale sistema delle alternative, avrebbe sfruttato le articolazioni amministrative locali come luoghi di collocamento delle élite politiche.
Le ragioni per ridisegnare l’architettura del regionalismo, si legge nella Proposta, sarebbero adesso sostanzialmente tre: ridurre la spesa pubblica evitando la proliferazione di centri decisionali di spesa e di programmazione; semplificare il quadro normativo frammentato in venti realtà, in materie strategiche come la formazione, il governo del territorio e la sanità ; favorire il processo di integrazione europea, che richiede una riduzione dell’articolazione regionale dei Paesi membri.
L’articolo 3 della proposta di legge, modificando l’art. 131 della Costituzione, andrebbe ad istituire nuove regioni fra cui Roma Capitale e quella Tirrenica, che unisce la Campania alle province di Latina e Frosinone. Per istituire nuove regioni, verrebbe poi elevato da 1 milione a 2 milioni di persone, il numero di minimo di abitanti.