Bronzo olimpico a Londra nel 2012, campione d’Europa all’aperto e indoor, plurivincitore della Coppa Europa e, per gradire, 23 volte campione d’Italia: per scrivere quel che ha vinto Fabrizio Donato occorrono molte righe di testo, per raccontare il suo amore ricambiato con l’atletica e con il salto triplo ci vorrebbe forse un libro.
Fabrizio Donato ora è un tecnico apprezzatissimo. Conoscendolo, siamo certi che ogni tanto gli torni la voglia di eseguirlo in prima persona, quel triplo balzo con atterraggio sulla sabbia. Però il tempo ha le sue leggi, che sono certamente democratiche, perché valgono per i volenterosi saltatori della domenica e anche per chi, come Fabrizio Donato, ha battuto anche Jonathan Edwards, la leggenda della specialità.
E allora, dopo 5 Olimpiadi, primato condiviso con un certo Pietro Mennea, dopo un numero imprecisato di hop, step e jump, Donato fa l’allenatore. E tra i suoi allievi di Castelporziano c’è Andy Diaz, italiano nato a Cuba, vincitore di due finali di Diamond League e fresco successore di Fabrizio nella cronologia del record nazionale. Fabrizio Donato è stato per molti anni il capitano della squadra azzurra di atletica e allora non c’è persona più idonea per fare il punto della situazione sull’intero movimento.
Cominciamo… dalla fine. Il recente divorzio Jacobs-Camossi e la scelta dell’oro olimpico di Tokyo di andare ad allenarsi in America è il primo punto all’ordine del giorno.
“Sono stato per più di 20 anni con lo stesso tecnico e già questo mi rende la persona meno indicata ad esprimere un parere nel merito. Io sono legato a un concetto un po’ romantico del rapporto tecnico-atleta. Tra queste due figure si stabilisce un rapporto umano che va ben al di là degli allenamenti, della tecnica e dei riscontri in gara. È un po’ come un rapporto sentimentale, e questo comporta che quando ci sono dei problemi si debba fare ogni sforzo per superarli, sempre affidandosi alla reciproca comprensione.
Io non so quali siano le motivazioni della rottura, ma so che certamente atleta e tecnico devono essere in sintonia al 100% perché il binomio possa funzionare. Quando non è così ci rimette la prestazione. Possono arrivare controprestazioni ed anche infortuni, perché quando non c’è la serenità di fondo è più facile incorrere in problemi fisici. Probabilmente non c’era altra soluzione, ma io trovo piuttosto singolare che questo sia avvenuto nell’imminenza dell’anno olimpico. Sarebbe stato più logico completare il ciclo, per poi eventualmente decidere di divorziare. Difficile che in un anno si riesca a stabilire quel legame indispensabile per ottenere il meglio. Spero di essere smentito, ma per me il tempo da qui ai Giochi è poco”.
LA SALUTE DEL MOVIMENTO
Ai mondiali quattro medaglie, lo splendido oro di Gimbo Tamberi, gli argenti del pesista Fabbri e della 4X100 e il bronzo di Antonella Palmisano, il tutto dopo il clamoroso successo, il primo nella storia, nel campionato europeo per nazioni, sia pure con oggettive e importanti defezioni nelle altre grandi dell’atletica europea. La salute del movimento sembra ferrea…
“È così, fermo restando che le medaglie mondiali sono sempre frutto di tanti tasselli che vanno al loro posto. Occorre una grandissima prestazione dell’atleta, perciò sicuramente la giornata giusta, magari qualche avversario che in quella gara non riesce a dare il massimo e tante circostanze in qualche modo favorevoli. Non è semplice per niente, anche se si è atleti di grandissima caratura. Ci vogliono tanta bravura e un pizzico di fortuna.
Nel campionato europeo è evidente che altre nazioni hanno rinunciato a schierare alcuni big, ma vincere è sempre un’impresa, specie ora che uomini e donne gareggiano insieme. Vorrei sottolineare che questi bellissimi risultati sono anche figli di un cambio generazionale dei tecnici, oltreché degli atleti. I nuovi tecnici, gruppo del quale mi onoro di far parte, sono molto preparati, lavorano con metodologie moderne, si applicano e si migliorano costantemente ed i risultati arrivano”.
Lo spazio è tiranno, perciò non possiamo analizzare le singole situazioni dei nostri ragazzi più rappresentativi. Però su qualcuno vogliamo conoscere il parere dell’ex capitano azzurro, cominciando da Filippo Tortu e dalla sua stagione in chiaroscuro: formidabile in staffetta, meno performante nelle gare individuali sui 200. Come te lo spieghi e ritieni possibile un suo ritorno ai 100?
“Il discorso parte da lontano e non è semplice. Tanti non si spiegano perché mai Filippo voli in staffetta e faccia decisamente meno bene partendo dai blocchi. La spiegazione non è troppo complessa e risiede nella naturale capacità di Tortu di sviluppare la piena potenza del proprio motore quando la partenza è lanciata. Partire dai blocchi è un’altra cosa e in quel caso Filippo fa più fatica a sprigionare il massimo del proprio potenziale. Credo che al di là di questo, debba rivedere qualcosa nell’assetto di corsa perché è palese che gli ultimi metri, che sono in teoria quelli a lui più favorevoli, lo vedano un pochino in difficoltà nella gara dei 200. La migliore prestazione l’ha fatta ai campionati italiani, dove non avendo avversari vicini ha sviluppato il massimo della funzionalità della sua corsa, in decontrazione. A volte vedersi gli avversari davanti o a fianco porta a forzare le frequenze e a movimenti che sono controproducenti. Ci vuole il giusto mix tra potenza e agilità, non è semplice, credetemi. Per me comunque Filippo è un duecentista naturale ed è in quell’ottica che deve lavorare. Se poi la sua guida tecnica, che è il papà, sia o meno la più indicata, non so dirtelo”.
I BABY FENOMENI IAPICHINO E FURLANI
Avviciniamoci progressivamente al triplo, passando per il salto in lungo, specialità nella quale l’Italia può vantare due giovani fenomeni. Come giudichi la stagione di Larissa Iapichino e Mattia Furlani e cosa prevedi per loro nel futuro prossimo?
“Cominciamo col dire che sono due talenti purissimi. Nell’atletica e nello sport più in generale quando ci si trova di fronte a un talento si parla di salvaguardia e tutela del talento. Io però aggiungerei anche la gestione, che forse è la più difficile. Mi sembra che questi due ragazzi abbiano degli staff tecnici all’altezza, aperti a soluzioni alternative, pronti a modificare qualora se ne ravvisi l’opportunità. Sia Larissa che Mattia meritano un voto elevato per la stagione. Vero che ai mondiali Larissa ha chiuso quinta e Mattia non ha centrato la finale, ma va detto che per Furlani gli appuntamenti più importanti erano quelli giovanili e lui li ha centrati, dimostrando grandi capacità di far bene nei giorni più importanti.


Per Larissa Iapichino stagione eccellente, con il piccolo neo di aver fallito le due prove più importanti. Ai mondiali ha mancato il podio, sia pure di pochi centimetri, dopo aver vinto tre prove di Diamond League, e alla finale della Diamond non ha potuto prender parte per un lieve infortunio. Forse qualcosina da rivedere nell’avvicinamento alle gare c’è. Le prospettive sono straordinarie per entrambi. Possono essere protagonisti ai massimi livelli da subito, le misure saltate sono lì a dimostrarlo”.
ANDY DIAZ E GRETA DONATO: IL MOMENTO E GLI OBIETTIVI
E veniamo al triplo e a due allievi speciali: uno è il nuovo primatista italiano, Andy Diaz, che proprio a Fabrizio Donato ha sottratto il primato italiano della specialità. Il binomio sta dando grandi soddisfazioni. Ora c’è un sogno a cinque cerchi da tradurre in realtà?
“Senz’altro. L’anno appena trascorso è stato eccellente, perché abbiamo centrato il traguardo più importante, confermando il successo nella finale di Diamond League. Il diamante ed il primato italiano sono stati il giusto premio al nostro lavoro. Se vincere è difficile, rivincere è difficilissimo. Detto ciò, è chiaro che a Parigi si punta a salire sul podio. Qualsiasi altro risultato sarebbe un fallimento”.
Dulcis in fundo, Greta Donato, campionessa italiana Under 20 nel salto triplo. E di tutte le maglie tricolori di casa Donato questa è la più inattesa e la più bella. Che saltatrice è Greta?

“Cominciamo col dire che Greta non è un talento purissimo come Larissa o Mattia. È un’atleta di buon potenziale, che ha grinta, voglia e… pazienza. Ne ha avuta tanta nell’accettare la mia scelta che, nell’ottica della gestione del talento, l’ha privata di alcune soddisfazioni nelle categorie giovanili. Il nostro lavoro, come concordato anche con Patrizia, è stato finalizzato ad una crescita progressiva. Io da un anno alleno Greta. Prima più semplicemente le insegnavo, insieme ad altri due tecnici, i movimenti e le dinamiche di base. Lei avrebbe voluto bruciare le tappe, ma è stata brava ad accettare questo programma graduale.
A un anno dalla sua prima gara di triplo ha vinto il titolo italiano di categoria. Ha ancora tanti margini di progresso. L’anno prossimo si cimenterà nel triplo, che lei ama in modo particolare, ma anche nel lungo e in qualche gara di velocità. Dove potrà arrivare non so, ma certamente potrà prendersi altre belle soddisfazioni”.
