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Cancellare la storia è da fessi. Ricordare serve a non commettere gli errori di ieri

Alberto Fraja
Davide Conti ha mandato alle stampe “Sull’uso pubblico della storia” (Forum, 120 pagine, 14 euro) con un’intervista di Claudio Lucatello
Marzo 1, 2022

La storia è maestra di vita. Questo vuol dire che sarebbe il caso che la si conoscesse. E’ sostanziale essere a parte del proprio passato. L’ignoranza porta alla falsificazione della storia. Al suo uso distorto. Parziale. Partigiano. Per evitare che ciò accada Davide Conti ha mandato alle stampe “Sull’uso pubblico della storia” (Forum, 120 pagine, 14 euro) con una intervista di Claudio Lucatello e foto di Paolo Pandullo.

Si tratta di una pubblicazione che passa in rassegna gli snodi topici della storia soprattutto moderna e contemporanea attraverso una esposizione sintetica e divulgativa, in forma di domande e risposte, adatta a un pubblico il più ampio possibile. Domanda di fondo: come riempire il vuoto di memoria storica, mantenendo le differenze delle memorie individuali, senza tuttavia rinunciare a un’appartenenza comune e collettiva? Attraverso l’istituzione di un calendario civile che offra “alla società, intesa nella pluralità delle sue sensibilità storiche, umane, culturali e politiche, l’opportunità di costruire un impianto identitario partendo da alcuni fatti, avvenimenti ed eventi piuttosto che da altri – risponde l’autore -. Grazie a questa selezione, il calendario civile stabilisce un perimetro storicamente identificativo attorno a una o più comunità e si propone di comporre non tanto molteplici memorie individuali (per loro definizione difformi tra loro) ma di offrire un orizzonte di senso alle vicende che hanno attraversato le vite delle persone, informando il modo di essere della società e indirizzandolo in un verso anziché in un altro”.

Il libro affronta questioni che vanno dall’amnistia di Togliatti (per Conti essa fu da un lato dettata dalla volontà di ricomporre il tessuto sociale in un Paese lacerato dalla guerra civile, dall’altro un’operazione politica), alle giornate della memoria dedicate alla Shoah e al dramma delle Foibe fino ad arrivare al 9 maggio del 1978, il giorno infausto in cui venne rinvenuto il cadavere di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse. Una giornata, quest’ultima che per lo storico andrebbe dedicata alle vittime del terrorismo.

“Ognuna di queste rievocazioni laiche stabilite per legge ha finito per rappresentare elementi di evidente distonia tra la storia (intesa come ricostruzione metodologico-scientifica degli avvenimenti e interpretazione del loro senso generale) e la rappresentazione pubblica di quegli eventi del passato che lo Stato propone nella forma della retorica celebrativa” sostiene Conti. Quanto al 17 marzo, data rievocativa della raggiunta unificazione del Paese, l’autore non le manda a dire.

“La legge indica una data in cui l’unità del Paese non è affatto completa, mancandovi il Veneto e la provincia di Mantova, annessi con il plebiscito del 1866, e lo Stato Pontificio con Roma capitale che divennero territorio sotto sovranità italiana nel 1870 – precisa -. Le istituzioni hanno dunque scelto di espungere dalla memoria pubblica la “questione romana” e il contenzioso col Vaticano e questa lettura a-conflittuale ha consentito una narrazione della storia dell’Unità d’Italia condivisa non solo dalle istituzioni ufficiali della Repubblica ma anche dalla stessa Chiesa cattolica”.

Altri problemi affrontati nel libro sono quelli relativi all’imperversante revisionismo, che viene trasformandosi nella cosiddetta “cancel culture” (“le complessità delle vicende storiche non si elaborano con le censure o le cancellazioni. Mi sembra di poter dire che i fenomeni politici e culturali cui abbiamo assistito in questi ultimi anni – mi riferisco all’abbattimento delle statue durante le proteste antirazziste in Gran Bretagna o Stati Uniti – rappresentino un momento di rottura connesso non solo alla messa in discussione di un meccanismo codificato di rappresentazione univoca del passato ma, soprattutto, alla contestazione dei retaggi e del precipitato storico che quella formalizzazione della storia ha avuto e ha nel presente, in termini di condizioni reali e materiali delle minoranze”).

Rispetto agli infuocati anni ’70, lo spirito dei tempi che ci è dato di vivere oggi è nel segno del vuoto del conflitto e della “reductio ad unum” dell’intero esistente nel nome del liberomercatismo. Il che non è il massimo della vita.

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