Nel giorno in cui Luigi Di Maio lascia il Movimento Cinque Stelle, nel Lazio, sponda Pd, si torna a parlare con insistenza ossessiva della candidatura alla presidenza della Regione di Enrico Gasbarra.
L’ufficializzazione dovrebbe avvenire la prossima settimana, dopo i ballottaggi. Nell’immenso frullatore della politica italiana nessuno si meraviglia più di nulla, ma una domanda a Nicola Zingaretti va posta: si è accorto che il progetto del Campo largo è fallito e che di conseguenza la scelta del suo aspirante successore non può essere determinata con i criteri che erano validi fino ad un mese fa?
L’OTTOVOLANTE DEL PD
La soluzione Gasbarra circola da mesi. Piace (moltissimo) a Nicola Zingaretti, Roberto Gualtieri, Claudio Mancini, Goffredo Bettini e a tutto il Pd che conta a Roma. Non piace però all’assessore alla sanità Alessio D’Amato, autore della prima fuga in avanti nei mesi scorsi, quando ha annunciato la sua disponibilità a candidarsi alle primarie. Non piace al vicepresidente della Regione Lazio Daniele Leodori, che in tutti questi anni è stato l’alter ego di Zingaretti, dividendo il ruolo nella prima legislatura con Massimiliano Smeriglio. Leodori all’Eur ha annunciato la sua partecipazione alle primarie: l’accelerazione è stata concordata con il segretario regionale Bruno Astorre e con il ministro della cultura Dario Franceschini. Proprio per far capire a Zingaretti, Bettini, Mancini e Gualtieri che non tutti aspettano il salvatore della patria. Poi è stata la volta di Marta Bonafoni, pure lei pronta a partecipare alle primarie. Individuata già una data: domenica 13 novembre.
Enrico Gasbarra parteciperebbe alle primarie? Fosse per lui no, se però diventano un “rito” per il semaforo verde, allora non avrà alternative. Rischiando di fermarsi con il rosso.
Domanda: Leodori e D’Amato (che non sono due ragazzi di bottega) cosa farebbero? Ritirerebbero la loro candidatura? Perché dovrebbero farlo? Un tempo si prospettava ad esponenti del genere un seggio blindato alla Camera o al Senato. Con 345 poltrone in meno però, è assai complicato perfino per i Democrat. L’elenco dei “paracadutabili” è già affollato.
Il risultato di tutta questa storia è che il partito è spaccato e che Nicola Zingaretti ha perso il profilo super partes. Lui vorrebbe Gasbarra, è chiarissimo. Con l’ex presidente della Provincia di Roma ci sono Francesco De Angelis e Sara Battisti. Mauro Buschini forse: in precedenza sembrava orientato ad appoggiare Daniele Leodori.
LO TSUNAMI DEI CINQUE STELLE E CALENDA
Lo scisma di Luigi Di Maio è destinato a terremotare il quadro parlamentare e probabilmente anche lo scenario pentastellato nel Lazio. Il ministro degli esteri ha sbattuto la porta in faccia a Beppe Grillo e a Giuseppe Conte: in Insieme per il Futuro lo seguiranno almeno in sessanta tra deputati e senatori. Fra i quali Luca Frusone, al secondo mandato a Montecitorio. In questo modo il Movimento non è più la prima forza parlamentare e rimangono dodici mesi alla fine della legislatura. C’è chi parla di una possibile aggregazione all’ombra di “Italia c’è”: Beppe Sala, Mara Carfagna e Luigi Di Maio. Vedremo. Può darsi che alla fine sul piano elettorale un’operazione del genere si riveli un flop, ma quello che è importante ora sono gli equilibri a Montecitorio e Palazzo Madama. I Cinque Stelle di Giuseppe Conte sono all’angolo e le sirene di Alessandro Di Battista già risuonano. Se però escono dal Governo rischiano di perdere altri deputati e senatori. Infine, il risultato delle amministrative ha detto che i Cinque Stelle nel Paese non ci sono più.
Riflessi inevitabili alle regionali del Lazio, dove Zingaretti aveva apparecchiato il tavolo con Roberta Lombardi in una prospettiva di Campo largo. Con gli attuali chiari di luna dei pentastellati quel progetto è franato. Sepolto. Nonostante gli “ultimi giapponesi” tipo Goffredo Bettini.
La candidatura di Enrico Gasbarra rimane in piedi, ma chi la sosterrà alla fine? Non Carlo Calenda, allergico ai Cinque Stelle e all’asse tra Giuseppe Conte e Goffredo Bettini. Il risultato delle comunali di Roma dimostra che Azione va forte quando si candida “contro” il Pd: Calenda nel Lazio è indispensabile al centrosinistra e lo farà pesare moltissimo.
Enrico Letta si sta seriamente interrogando sulla necessità di riconsiderare le alleanze: nel Lazio il Partito Democratico dovrà fare la stessa cosa. E’ per questo che la grande corsa alle candidature alla presidenza della Regione non ha molto senso, specialmente dopo la scissione di Luigi Di Maio nel Movimento Cinque Stelle.
IL BALLOTTAGGIO DI FROSINONE
Mentre Riccardo Mastrangeli e Domenico Marzi continuano a polemizzare su tutto, nessuno osa chiedersi cosa succederà domenica notte per gli sconfittti. Per il centrodestra perdere il capoluogo sarebbe una catastrofe, per il centrosinistra la terza battuta d’arresto consecutiva in teoria potrebbe segnare la fine di un’intera classe dirigente.
Ma siamo pronti a scommettere che in realtà non succederà nulla: le future candidature di Massimo Ruspandini (Fratelli d’Italia), Francesco De Angelis, Sara Battisti, Mauro Buschini, Antonio Pompeo (Pd), Pasquale Ciacciarelli, Nicola Ottaviani (Lega) non dipenderanno dal risultato di Frosinone. Ma semplicemente dalla capacità di contare ed essere riconosciuti all’interno dei rispettivi partiti. A Roma. Non qui. Visione decisamente cinica, ma realistica.