Dibattito lunare in questo inizio di pre pre-campagna elettorale al Comune di Frosinone. Il candidato sindaco del Pd Domenico Marzi promette di regalare magliette di Putin al leader della Lega Matteo Salvini se verrà a sostenere Riccardo Mastrangeli. Il comitato per le primarie del centrodestra risponde paragonando Marzi a Carlo Alberto di Savoia, passato alla storia come Re Tentenna. Cosa c’entra tutto questo con il capoluogo e con un sviluppo futuro che dovrebbe passare dai programmi? Nulla naturalmente.
Se il buongiorno si vede dal mattino, chissà di cosa si parlerà a maggio. Magari delle prossime guerre stellari. C’è un gap di classe dirigente che mette i brividi. Ma il capoluogo non dovrebbe anticipare gli argomenti e provare a indicare linee politiche sulla gestione dei rifiuti, sull’opportunità di realizzare o meno biodigestori, su come rapportarsi con chi gestisce il servizio idrico? Nessuna traccia. C’è poi da capire quali saranno gli schieramenti definitivi. Tutti al coperto, per la paura di sbagliare campo. Meglio con Marzi o con Vicano? Oppure meglio con Mastrangeli? Come se fosse tutto uguale, indistinto. Bisognerebbe avviare una riflessione seria sulle liste civiche: sicuramente importanti e rispettabili perché danno voce e rappresentanza alle istanze della gente.
Ma basta con l’ipocrisia di dire che le scelte avvengono in base ai programmi. Dove sono i programmi? Come si fa a pensare di effettuare il salto della quaglia e pretendere il massimo rispetto politico? Certamente vanno fatte le debite distinzioni tra civiche e civiche. Pure questa situazione però è stata determinata dall’arretramento dei partiti, che in questi decenni hanno ceduto pezzi di coraggio e di sovranità. Specialmente a Frosinone. Quando invece bisognava rivendicare valori e senso di appartenenza: non sono concetti incompatibili con l’attività amministrativa.
IL DOPO ZINGARETTI E LA VARIABILE LETTA
Se ne parla, anche se sottovoce e senza dare troppo nell’occhio. Nella politica italiana, dalla presidenza della Repubblica alla candidatura a sindaco, meglio non farsi notare se si vuole raggiungere un obiettivo. Tra un anno si vota per la presidenza e per il consiglio regionale del Lazio. La Regione è l’ente più importante ormai, quello che incide maggiormente nella vita quotidiana delle persone: dalla sanità all’economia. Fino a poche settimane fa sembrava che nel centrosinistra i grandi favoriti fossero il vicepresidente Daniele Leodori e l’assessore alla sanità Alessio D’Amato. Profilo politico il primo, mediatico il secondo. Democristiano il primo, comunista il secondo. Tutti e due grandi protagonisti della lunga stagione di Zingaretti presidente.
Adesso però entrambi non vogliono dare nell’occhio, per non bruciarsi. Sono circolati altri nomi in questi mesi, uno su tutti: Enrico Gasbarra (nessuno ne parla più: ipotesi tramontata, sembra). Sarebbe normale e forse perfino giusto che se la giocassero, alle primarie, Leodori e D’Amato. Entrambi si sono distinti in questi anni. Ma a Roma, cuore nevralgico della politica nazionale e laziale, nulla è scontato. Il segretario del Pd Enrico Letta sembra uno che lascia fare, ma non è così. Per la candidatura a sindaco di Roma aveva puntato tutto su Nicola Zingaretti, poi l’ipotesi è tramontata. E allora Letta ha detto sì a Roberto Gualtieri, voluto a tutti i costi da Claudio Mancini, Goffredo Bettini e Bruno Astorre (un altro molto influente a livello regionale).
Poi per le suppletive per il seggio lasciato vacante da Gualtieri, sembrava tutto fatto per Enrico Gasbarra, invece Enrico Letta ha piazzato Cecilia D’Elia. La candidatura alla presidenza della Regione Lazio non è scontata, lo hanno capito bene anche l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio e l’assessore Roberta Lombardi, che avranno sicuramente un ruolo nella scelta del successore di Nicola Zingaretti. Sembra che possano sostenere Daniele Leodori. Mentre il leader di Azione Carlo Calenda si è già sbilanciato su Alessio D’Amato. Ma l’ordine di scuderia, per tutti, è di stare al coperto. Perché poi alla fine arriva Enrico Letta.
L’OCCASIONE DEL CENTRODESTRA
Il centrodestra è fortemente maggioritario nel Lazio, lo ha dimostrato anche la volta scorsa. Nei sondaggi nazionali perfino di più, ma spesso alle amministrative sconta scelte che arrivano fuori tempo massimo e in un quadro di irrimediabile conflittualità E’ successo nel 2018, quando è stato scelto un candidato di assoluto livello come Stefano Parisi, boicottato da settori della coalizione. Stavolta non si può commettere un altro errore del genere. Nel Lazio il partito che ha più voti è Fratelli d’Italia. Nei mesi passati sono stati fatti nomi di leader nazionali come Francesco Lollobrigida e Fabio Rampelli. Difficile però che possano concorrere per la presidenza della Regione Lazio quando, contemporaneamente, si voterà per le politiche e quindi per il Governo nazionale.
Giorgia Meloni vorrà tutti al suo fianco. Nel consiglio regionale del Lazio non mancano però esponenti di partito che sono molto cresciuti in questi anni: Chiara Colosimo, Fabrizio Ghera, Giancarlo Righini. Si potrebbe iniziare a lavorare su queste ipotesi. Per tempo. Nella Lega fino all’anno scorso il nome più forte era quello del coordinatore regionale Claudio Durigon, ma nessuno ne parla più da mesi. In Forza Italia c’è chi evoca il coordinatore nazionale Antonio Tajani. Il centrodestra deve in ogni caso affrontare il tema in anticipo, altrimenti si arriverà come a Roma, quando la candidatura di Enrico Michetti è stata avanzata dopo che la sirena era suonata. Per la Regione Lazio Fratelli d’Italia può osare. Ma è chiaro che questa volta è vietato sbagliare.