In un clima surreale da chiusura impianti si è svolto, da venerdì a ieri, il “mercatino dell’usato” alla “Fiat” di Piedimonte San Germano: il primo dell’era del dominio francese che sta portando avanti lo smantellamento doloso dell’auto italiana, con attacco alle competenze, al management e ai posti di lavoro qualificati ed assottigliamento progressivo anche delle maestranze. Il tutto sta avvenendo mentre governo nazionale, regionale, sindaci del territorio e sindacati maggiori fingono di essere impegnati in cose ben più rilevanti.
Azione nei giorni scorsi ha ricordato di aver chiesto un’audizione parlamentare per sollecitare John Elkann affinché riferisca delle «bugie» dette quando affermava che l’auto italiana e quella del Gruppo Psa si sarebbero fuse alla pari in Stellantis. Ma qui comanda solo Parigi.


A spese proprio di quello che hanno rappresentato per il nostro Paese e per territorio del Lazio meridionale Fiat, Lancia, Alfa Romeo e Maserati. Chiedono una nazionalizzazione del settore e comunque un ritorno alla gestione italiana dell’auto tricolore – prima che sia troppo tardi – anche sigle minori, come il Cub o l’Usb. Ma torniamo al mercatino Fiat… letteralmente senza Fiat. Una cosa mai vista. Prima di tutto per l’assenza di pubblicità dell’evento, anche perché per la verità ci sarebbe stato ben poco da pubblicizzare. Nell’area espositiva – estremamente ridotta rispetto alle centinaia e centinaia di vetture Fiat, Alfa e Lancia solitamente esposte anche grazie alla sinergia con Eco Liri – solo una sessantina di modelli, per la gran parte Peugeot, Citroen e Opel. Ai margini una fila di Fiat 500, una 500 L, 2 500 X, una Tipo e una Alfa Giulietta. Il quadro complessivo è disarmante, con gli stessi addetti dello stabilimento al cospetto di vetture che fino a prima della svendita di Fca non sarebbero state neppure ammesse nel recinto dell’area produttiva e che adesso hanno avuto l’incredibile ruolo da “protagoniste”.
Poca gente a chiedere informazioni e qualche felpa col simbolo Alfa che sibila il malcontento a chi chiede informazioni sullo stabilimento.
Il nuovo reparto di verniciatura realizzato con le risorse del Piano Italia di Marchionne (5 miliardi di euro che prevedevano sia Grecale a Cassino che Tonale a Pomigliano) è in via di smontaggio: è destinato ad un altro stabilimento estero del gruppo. Per la palazzina della direzione aziendale, che è ormai del tutto vuota, si parla di possibile affitto ad Amazon.
Poi ci sono due interi capannoni: un’ex verniciatura ed un’ex lastratura che nessuno sa ancora se saranno affittati o venduti dai francesi.
Intanto giovedì scorso è stata raggiunta un’intesa tra tra il governo Meloni e l’Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica). Il ministro Urso – che, come Giorgetti, pare assistere ad un film ben diverso da quello che viene proiettato sui territori – ritiene che quell’intesa sia «il pilastro fondamentale su cui costruire un accordo più vasto con Stellantis che sarà definito le
prossime settimane. Ci permetterà poi di insediare un tavolo Stellantis con altri attori istituzionali coinvolti; regioni, indotto, sindacati, Anfia e azienda stessa».
Ma che a questo punto si possa fare davvero poco (se non si adottano soluzioni radicali) per riequilibrare le sorti italiane nelle mani irrispettose dei francesi, lo ammette anche se velatamente lo stesso ministro: «Su Stellantis – ha detto infatti Urso – credo non si possa riavvolgere il nastro della storia. Quello che si può fare è realizzare un’intesa di alto profilo che tuteli ricerca, occupazione e futuro del settore auto nel nostro paese». Ma una cosa sono le parole del ministro e altra cosa i fatti. Per restare alle fumisterie, si proietta in avanti l’ex presidente del Consiglio regionale Mario Abbruzzese affermando che la classe dirigente deve porsi il problema del dopo-Stellantis (sic!). Il leghista, ex presidente Cosilam e amministratore comunale di lunghissimo corso, individua la soluzione sostenendo che si starebbe studiando per il Lazio meridionale «una straordinaria operazione di logistica in grado di occupare tremila lavoratori».
Il dibattito abbruzzesiano avviene mentre il crollo è in atto: 62 posti di lavoro sono a rischio alla Denso che, nell’area dello stabilimento, provvede all’assemblaggio e al sequenziamento di moduli di raffreddamento motori e di gruppi di climatizzatore per Alfa Romeo Giulia e Alfa Romeo Stelvio. La Uilm di Frosinone chiede che vengano riportate a Piedimonte tutte le lavorazioni che vengono svolte nel Sito di Avellino e legate al Sito di Piedimonte, in un’ottica di ottimizzazione delle risorse. «Se Giulia e Stelvio vengono prodotte a Cassino, le lavorazioni Denso devono essere prodotte nello stesso luogo»: insomma siamo ormai anche alla “guerra tra poveri” sulle ultime vetture italiane che sta sfornando Piedimonte.
«Mentre si sprecano i titoli di giornale roboanti in merito al tavolo tra Governo e Cgil Cisl e Uil, sul settore auto, emerge con chiarezza che siamo ben lontani dal convincere Stellantis a produrre un milione di auto in Italia – denunciano dal sindacato Usb -. I soldi del PNRR messi a disposizione rischiano di essere solo l’ennesimo regalo ad una multinazionale che sembra disinteressata a contribuire alle politiche industriali di questo Paese, anzi: stride parecchio l’accordo tra Stellantis e Samsung che hanno appena annunciato l’apertura di un nuovo stabilimento (il secondo) di batterie negli Stati Uniti. Di sicuro non un bel segnale per quel tavolo».
«Risulta sempre più chiara la difficoltà di questo Governo a recuperare una situazione dove nei fatti Fca non si è fusa con Peugeot; si è trattata di un acquisizione in piena regola – scandiscono sempre dall’Usb -, che ha messo Fiat nelle mani dei francesi compromettendo in modo profondo la capacità del nostro paese di agire le politiche industriali di un settore strategico come quello dell’automotive, che per Usb andrebbe subito nazionalizzato».
«Ad oggi – riferisce la Cub – Confederazione Unitaria di Base di Piedimonte San Germano -, molti reparti sono stati accorpati in spazi limitati per le lavorazioni con effetti negativi sulla messa in sicurezza delle aree di lavoro. In pochi metri quadrati ci troviamo a lavorare con una serie di mezzi meccanici in movimento, come i porter, i carrelli elevatori, i robot AGV e i bull, che restringono di fatto gli spazi della produzione, i passaggi pedonali, le uscite di emergenza, i percorsi di fuga antincendio e i percorsi delle
ambulanze. Per stare “dentro” la produzione stanno saltando tutte le prescrizioni della sicurezza sui luoghi di lavoro, ovvero le condizioni minime per svolgere regolarmente il proprio lavoro in totale sicurezza. Il taglio delle commesse sulle aziende di pulizia, l’accumulo di scarti di lavorazione, dai cartoni alle buste di cellofan, preoccupano sia dal punto di vista igienico-sanitario sia per il timore di eventuali incendi, essendo materiale altamente infiammabile, accumulato all’interno di capannoni adibiti a lavorazioni industriali e con gli operai al suo interno».
«Una situazione surreale – concludono dal Cub pedemontano – che somiglia tanto ad uno smantellamento generale dello stabilimento e della produzione. Il fatto stesso che in soli quattro anni si è passati da 4.700 dipendenti a 2900, fino a tenere in piedi l’accordo dell’esodo incentivato e il contratto di solidarietà, ed inviare decine di operai in trasferta negli altri stabilimenti, certifica che non vi è alcuna politica di mantenimento degli attuali assetti occupazionali. Pretendiamo che la direzione aziendale della Stellantis di Cassino ci informi su quanto sta avvenendo all’interno dello stabilimento, ovvero su quanto dureranno le trasferte e la cassa solidarietà, quando rientrerà la dichiarazione degli esuberi strutturali dichiarati ormai tre anni fa, e sulle reali intenzioni di mantenimento dello stabilimento cassinate, ormai a rischio».
Più che a rischio, visitando il mercatino dell’usato, si capisce che lo smontaggio e la distruzione sono in atto e che servirebbe una grande mobilitazione per togliere quel che resta dell’auto italiana dalle mani di chi vuol semplicemente eliminare un concorrente, dopo esserselo comprato anche coi soldi del contribuente francese, visto che nel cda Stellantis siede il governo Macron.
Fatto sta che in queste settimane assistiamo ad un tramonto storico a Piedimonte: quello di un asset fondamentale per l’economia del Lazio meridionale, che ha accompagnato le trasformazioni sociali del territorio dall’inizio degli anni ‘70 ad oggi. Per questo le disquisizioni di Abbruzzese come quelle, in un tempo anche recente, di Borgomeo sul piano mirabolante per far restare l’auto a Piedimonte
anche senza Fca, lasciano il tempo che trovano di fronte all’assenza di alternative concrete, che né la politica e neppure la classe imprenditoriale e dirigente del territorio hanno mai immaginato e
preso in considerazione. Ammesso che qualcuno voglia porre rimedio alla drammatica crisi industriale e occupazionale coi fatti e non con le belle chiacchiere.