In un libro tratto dalle Bustine di Minerva, la celeberrima rubrica culturale che Umberto Eco tenne sull’Espresso fino al 2016, il grande semiologo elencava alcune spassosissime e argute “Regole di Scrittura” cui attenersi rigorosamente quando si è al cospetto di una pagina bianca da imbrattare.
Il ricettario era prevalentemente indirizzato a quegli studenti che un attimo prima di affrontare un compito di italiano o una traduzione di latino o di greco vengono còlti da patologie respiratorie, cardiache o gastrointestinali di origine palesemente ansiosa. Un momento drammatico cui nessuno di noi è sfuggito allorché, ai tempi della scuola, venivamo chiamati a scogliere un micidiale groviglio di itoti, analessi, chiasmi, metonimie, antifrasi, preterizioni e altri artifizi linguistici. Figure retoriche di cui nessuno o quasi aveva e continua ad avere contezza pur adoperandole quotidianamente nel linguaggio corrente.
Certo, delle figure retoriche si può fare tranquillamente a meno, andando a istinto, a orecchio, per imitazione. Ma vuoi mettere il piacere e la soddisfazione di conoscere, di poter andare più in profondità, godersi le sfumature, i dettagli, riuscire a tirar fuori il meglio da ciò che facciamo e decodificare in maniera più efficace ciò che fanno gli altri? A questo proposito cade come cacio sui maccheroni un delizioso libretto intitolato “Si figuri!”. (Clichi Edizioni, 64 pagine, 19 euro) scritto da Elisa Puglielli. Il volume ha il pregio di unire alle parole le immagini, così da rendere più chiari certi concetti. L’autrice, utilizzando a sua volta una figura retorica (le metafore) per tradurre in immagini alcune espressioni di uso comune, ha compilato una vera e propria guida illustrata che spiega, uno a uno, ben 44 modi di dire, in rappresentanza di altrettante figure retoriche.
Cogliamo fior da fiore. Sapete come va definita l’espressione: “Non ha un briciolo di cervello”? Iperbole, che vuol dire più o meno esagerazione. E “passare a miglior vita”? Quanti di voi sanno che trattasi di eufemismo, parola o locuzione adoperata in luogo di quella propria?. “A me mi” è un pleonasmo, un’espressione che potremmo definire sovrabbondante. Ancora. “Uno per tutti” è un chiasmo, inquietante lemma che può essere rappresentato come un incrocio immaginario tra due coppie di parole, in versi o in prosa, con uno schema sintetico AB.BA. “La morte non è un male” è la descrizione di un fatto che contraddice l’opinione comune o l’esperienza quotidiana. E “Mangia che ti fa bene” sapete cos’è? E’ un anacoluto (non è una parolaccia), ovverosia una sgrammaticatura che consiste nel cominciare un periodo in un modo e finirlo diversamente. “Guadagnarsi il pane” è una metalessi, tipo di metonimia in cui un termine indicante l’effetto è sostituito con uno indicante la causa.