Non c’è dubbio che la Lega sia la forza politica a spingere da sempre sulla necessità di superare la riforma Delrio per restituire alle Province il rango di enti di primo livello, con risorse e funzioni fondamentali per i territori, restituendo sovranità ai cittadini. Visto e considerato che la riforma è ormai cosa fatta, Salvini prova ad intestarsela chiamando gli alleati a chiudere la partita.
LA CORSA “FRENATA”
Il punto è che, come detto, la partita va chiusa a stretto giro e a quanto pare, a Palazzo Chigi, va maturando l’intenzione di rallentare, di rinviare l’approvazione della riforma al 2024 per restituire la parola ai cittadini solo nel 2025. In primo luogo perché occorrerebbe recuperare le coperture finanziarie necessarie a sostenere la riforma, e la legge di bilancio alle porte restituisce margini molto stretti, in seconda battuta perché sulla ridefinizione delle funzioni è necessario muoversi con grande cautela, infine perché, fanno sapere da Fratelli d’Italia, a giugno del prossimo anno già si vota per europee e amministrative.
Aggiungere le provinciali sarebbe eccessivo, anche per gli italiani.
Insomma, con ogni probabilità Salvini ha voluto aprire un ulteriore fronte all’interno della maggioranza. Ha voluto ricordare che sulla Riforma delle Province c’è un impegno preciso che va rispettato, che la Lega non è disponibile ad assecondare rinvii. Non tanto perché la riforma delle Province sia argomento sensibile per la pubblica opinione diffusa, ma perché in larga parte del Settentrione d’Italia la Lega è innanzitutto il partito dei territori e degli amministratori, è il partito che sul governo delle comunità e delle Province ha costruito il proprio radicamento e la propria identità, il partito che avrebbe più da guadagnare da una immediata approvazione di questa riforma. In termini di potere e di consenso. Un concetto che vale certamente più al nord, ma sufficiente ad invitare FI e FdI ad un atteggiamento più prudente. La riforma si farà, ma al voto si tornerà con maggiore probabilità nel 2025, evitando un abbinamento alle Europee, troppo favorevole al Carroccio.
IL RISCHIO
Il rischio che qualcuno intravede è che i futuri enti provinciali (basti rammentare come proliferarono a dismisura in territori poco popolati e di minore interesse generale) ritornino nella vecchia veste istituzionale per accontentare i cosiddetti “esodati della politica”. Per dirla in chiaro, enti utili a garantire un posto a chi l’ha perso a causa dei tagli nel numero dei parlamentari o per il diminuito peso elettorale del partito di riferimento in Regioni e città. Con la conseguenza che l’esercito, piccolo o grande che sia, dei trombati vaghi alla ricerca di un incarico, cioè di una poltrona. Possibile che si arrivi a tanto? Insomma, un posto da presidente, da assessore o da semplice consigliere provinciale non si nega a nessuno. Le Province contribuirebbero in modo concreto a risolvere qualche problemuccio di riposizionamento. Su questo punto ci si attendono ‘contromisure’ che evitino di ridar fiato all’antipolitica di matrice ‘grillina’.
Bene ha detto Nicola Calandrini, pronto a ricordare che quando le Province sono state ‘chiuse’ non si è registrato quel risparmio di spesa previsto dalla sinistra. Al contrario sono aumentati i problemi per i piccoli Comuni, che rappresentano l’ossatura del territorio. A livello burocratico i piccoli centri sono stati caricati di responsabilità difficili da gestire e soprattutto è mancato quel collante necessario a gestire servizi e infrastrutture che naturalmente richiedono una connessione tra enti locali. Tornare a degli enti elettivi riavvicinerebbe i cittadini al governo del territorio, creando quel senso di comunità che, in una provincia estesa e in parte giovane come quella pontina, appare essenziale per uno sviluppo coeso.