Un’intera città attendeva la storica promozione in semifinale. Quando l’urna di Nyon aveva messo il “diavolo” sulla strada del Napoli, più di qualcuno aveva celebrato anticipatamente, in barba alla scaramanzia.
Come avrebbe potuto quella squadra balbettante, che aveva abdicato con esagerato anticipo al trono d’Italia conquistato l’anno precedente, impensierire il Napoli delle meraviglie?
Come avrebbero potuto Theo Hernandez e compagni opporsi in modo incisivo a un undici capace di giocare a memoria, di segnare caterve di gol e di chiudere il discorso scudetto praticamente dopo il solo girone di andata?
Il calcio però fornisce a volte risposte inattese, verdetti imprevisti e imprevedibili. Piace per quello, per il suo fattore d’imprevedibilità.
E così quello che doveva essere un quarto di finale a senso unico ha finito col premiare la squadra più blasonata ma meno attesa.
Il Napoli di Spalletti ha pagato forse lo shock dello 0/4 casalingo in campionato, che non ha prodotto danni a una classifica già in ghiaccio, ma ha minato le certezze in vista del doppio confronto di Coppa.
Quel prologo in antitesi con le risposte di un’intera stagione ha sollevato dubbi negli uni e resuscitato entusiasmi negli altri.
Così, al suono dell’Eroica, il Milan operaio ma non troppo, umile quanto basta e cattivo quanto serve, si è preso il primo round di misura, insinuando ulteriori paure nei cuori del popolo partenopeo.
MILAN CORIACEO E UN GRANDE MAIGNAN
Il ritorno di ieri sera non è stato un Davide contro Golia, ma semplicemente una partita a scacchi tra due giocatori con uguali entusiasmi e uguali paure. Cancellate di colpo le distanze, col Napoli non più marziano e il Milan riappropiatosi della propria identità vincente, la gara non poteva che decidersi sugli episodi.
Meret in cattedra sul penalty calciato in modo tremebondo da Giraud, col francese che si riscatta poco dopo mangiando il cioccolatino offertogli dall’imprendibile Leao.
Napoli sempre avanti, ma senza costrutto e così all’intervallo il vantaggio dell’andata è raddoppiato.
Col passare dei minuti le sicurezze rossonere diventano giganti e le paure dei partenopei così grandi da frenarne gli slanci.
C’è ancora una porta aperta sul sogno, ma Maignan la chiude in faccia a Kvaratskhelia. Ancora un errore dal dischetto per l’eroe stanco. “Kvara” è stato il profeta del Napoli stellare di Spalletti, l’ambasciatore del verbo azzurro, dentro e fuori confine. È stato il riflesso di una speranza indicibile, il vessillifero senza tremori. Diventa il simbolo della sconfitta nel breve volgere di una rincorsa.
L’altro paladino della calcistica virtù napoletana ha un sussulto quando però il tempo sta per terminare. Osimhen inzucca, fa gol e va a prendere il pallone, sognando l’impossibile. Il sogno resta tale e mentre un popolo deluso ripiega i vessilli, la sponda rossonera ebbra di gioia celebra l’ennesima semifinale della massima competizione europea.
In campo non vanno il blasone e il prestigio, ma il blasone e il prestigio in certi frangenti possono diventare il dodicesimo uomo. Questo ha detto il doppio confronto tra il Napoli, prossimo campione d’Italia e il Milan, campione d’Italia uscente.
Stasera l’Inter potrà completare il derby meneghino valevole per l’accesso alla finale di Instanbul, e ripetere la sfida di molti anni fa, quella del 2003.
Allora passò il Milan, che poi vinse ai rigori la finale con la Juventus. I rossoneri sperano nella cabala.