“Non tratto più”. Quando nel pomeriggio di ieri Giorgia Meloni ha pronunciato questa frase tutti hanno capito chiaramente quattro cose: 1) la leader di Fratelli d’Italia aveva la sponda del Quirinale; 2) erano arrivate ampie rassicurazioni dall’ambasciata Usa; 3) c’era stato un colloquio positivo con Gianni Letta; 4) la posizione di Silvio Berlusconi da adesso in poi non sarà determinante. Ma relegata sul piano del gossip.
Poi la Meloni ha scritto in maniera chiara che chi non si riconosce nelle posizioni atlantiste ed europee non potrà far parte del Governo. E la frase “a costo di non farlo” (il governo naturalmente) ha rappresentato il punto di non ritorno. Silvio Berlusconi ha dovuto spiegare di riconoscersi nella Nato: dopo aver fatto il premier svariate volte, dopo 28 anni di carriera politica, dopo un curriculum come il suo. Peggiore ridimensionamento e peggiore uscita di scena (perché ormai è uscito dalla scena che conta) non potevano esserci.
Domani Giorgia Meloni riceverà l’incarico di formare il nuovo Governo. Potrebbe perfino accettare senza riserva. Punta al giuramento domenica. Forza Italia farà parte del Governo, ma è in bilico la posizione di Antonio Tajani come ministro degli Esteri. Magari alla fine avrà comunque quel ruolo, ma Forza Italia dovrebbe riflettere comunque. Gli applausi dei parlamentari alle frasi di Berlusconi e l’assordante silenzio delle seconde e terze file confermano il predominio del “ronzullismo” e l’impianto del partito azienda. Tajani poteva pure prendere una minima distanza dalla posizione di Berlusconi.
La delegazione del centrodestra si presenterà unita (così, per dire) al cospetto di Sergio Mattarella. E’ stata usata una metafora efficace: come una famiglia che si tira i piatti contro prima ancora di sedersi a tavola. Però il “non tratto più” della Meloni non è soltanto un monito. E’ una linea politica: Forza Italia, ma anche la Lega, dovrebbero prendere sul serio quella frase.
LA SITUAZIONE NEL CAPOLUOGO
Prima del 25 settembre sono avvenuti alcuni fatti precisi. La lista civica Frosinone Capoluogo ha aderito in toto alla Lega. Con l’assessore Maria Rosaria Rotondi e con il consigliere Pasquale Cirillo. Pochi giorni dopo il sindaco Riccardo Mastrangeli ha invitato a votare Lega, facendo la sua scelta di campo. Il Carroccio dunque adesso esprime direttamente il primo cittadino (Mastrangeli), due assessori (Magliochetti, Rotondi), tre consiglieri (Bortone, Testa, Cirillo). La Lista per Frosinone del vicesindaco Antonio Scaccia ha appoggiato la Lega, con tanto di foto di gruppo con il Capitano Matteo Salvini. La Lista Ottaviani gravita nella stessa area. All’interno della maggioranza qualcuno (per esempio Fratelli d’Italia) potrebbe alzare la manina e chiedere conto degli equilibri effettivi sia in giunta che in consiglio, specialmente perché i risultati elettorali sono stati altri alle comunali. Mentre alle politiche FdI ha fatto il vuoto pure nel capoluogo. Per il momento non succede, ma in futuro bisognerà vedere. Per esempio per la scelta del candidato alla presidenza della Provincia. Fono a settembre non c’era bisogno neppure di dirlo: il favorito era Riccardo Mastrangeli, proprio perché espressione dell’intero centrodestra, con una marcata impronta civica. Il salto sul Carroccio ha mutato il quadro e adesso bisognerà ragionare, discutere, confrontarsi. Fratelli d’Italia ha i suoi sindaci, per esempio. Il centrodestra sarà capace di sedersi attorno a un tavolo e decidere sul candidato alla presidenza della Provincia? Non è proprio scontato, ma sicuramente la prima mossa spetterebbe alla Lega considerando i cambi in corsa al Comune di Frosinone.
IL CAOS DELLE REGIONALI
Nel centrosinistra si continua a pensare alla successione a Nicola Zingaretti, ma siamo ad un punto morto. A livello nazionale si sta delineando una contrapposizione per la segreteria del dopo Letta: da una parte Stefano Bonaccini, dall’altra Andrea Orlando. Con quest’ultimo sono schierati Claudio Mancini, Goffredo Bettini, Roberto Gualtieri. Tutti e tre non vogliono sentir parlare di Daniele Leodori e Alessio D’Amato per la candidatura alla presidenza della Regione Lazio. Leodori e D’Amato non vogliono sentir parlare di loro tre. Nel frattempo girano altri nomi: Marianna Madia, Marta Bonafoni, Monica Cirinnà. A dimostrazione delle difficoltà del Partito Democratico. Mentre sul piano delle alleanze ci si ostina a parlare di Campo largo in un contesto da commedia degli inganni. Carlo Calenda dice no al Pd ma poi si stupisce che Enrico Letta non gli risponde e non lo cerca. Il Movimento Cinque Stelle apre spiragli di trattativa ma intanto a livello nazionale Giuseppe Conte ha messo la freccia nei confronti del Partito Democratico. Di primarie non parla più nessuno. Però la caratteristica principale del Pd dopo il 25 settembre è un’altra: i temi sul tavolo sono i diritti civili (che nessuno ha minacciato e intende minacciare), le foto di Mussolini al Mise e a Chigi (ci sono sempre state), le alchimie e i veti sulle alleanze. Nessun passo avanti verso quel Paese reale che ancora attende di sapere quali sono le soluzioni per arginare il caro bollette. Con un Partito Democratico così, il centrodestra potrà continuare a litigare… in santa pace.