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Eravamo tutti zingarettiani. L’analisi del voto che il Pd provinciale non farà mai

Licandro Licantropo
Silvio Berlusconi nel frattempo ha capito che senza un accordo con Giorgia Meloni Forza Italia sarebbe implosa e diversi “azzurri” avrebbero bussato alla porta di Fratelli d’Italia.
Ottobre 18, 2022
Nicola Zingaretti

Tra poche ore il Pd provinciale effettuerà l’analisi del voto… a un mese di distanza dalla batosta bis, dopo quella del 2018. Basterebbe questa considerazione sulla tempistica per capire come in realtà non esiste alcuna volontà di prendere davvero atto di una situazione di fallimento politico senza attenuanti e con pochi precedenti.

Sarà rilanciato il ruolo dei giovani, Luca Fantini non mancherà di sottolineare che in fondo l’elezione di Matteo Orfini è da considerarsi un successo, pioveranno lodi sperticate per l’esperienza di Nicola Zingaretti alla guida della Regione Lazio. In realtà se c’è un elemento che ha caratterizzato tutti questi anni è proprio l’appiattimento della federazione provinciale sulle posizioni di Zingaretti.

L’EFFETTO “ZINGA” NON LASCIA NULLA

Siccome loro non lo faranno mai, allora ci penseremo noi ad effettuare un’analisi di quello che è successo davvero in questi anni. Con la sola eccezione dell’area di Antonio Pompeo, il Pd ciociaro si è schierato in toto con Nicola Zingaretti, che in realtà non ha una propria corrente di riferimento. Fa sponda con le posizioni di Andrea Orlando e Goffredo Bettini, ma nemmeno sempre. Però per dieci anni è stato il “dominus” assoluto della Regione Lazio. Tanto bastava per l’effetto calamita. Il primo a entrare nella guardia pretoriana di Zingaretti è stato Mauro Buschini, fedelissimo anche di Francesco De Angelis. C’è stato un momento in cui, dopo l’adesione di Pensare Democratico all’area di Orfini, Buschini ha dovuto seguire De Angelis. Provocando l’ira funesta di “Zinga”. La successiva riappacificazione non ha mai più portato alla situazione precedente. Sara Battisti non era zingarettiana, lo è diventata nel corso della consiliatura.

Poi nel 2019, prima che il Governatore fosse eletto segretario nazionale, De Angelis ha deciso di spostare l’intera sua componente sulla posizioni dello zar Nicola. Ma la domanda che oggi il Pd dovrebbe farsi in sede di direzione provinciale è una sola: cosa ha prodotto per il partito la militanza nella galassia zingarettiana? Nel 2018 Buschini e Battisti sono stati eletti con i voti di De Angelis, non con quelli di Zingaretti. De Angelis è stato nominato da Zingaretti presidente del Consorzio unico, ma al vertice dell’Asi era arrivato con le sue forze e con gli accordi trasversali con il centrodestra di Mario Abbruzzese e Nicola Ottaviani.

E’ tutto il resto che dà la misura della disfatta: il Pd non elegge deputati e senatori del territorio dal 2013 (Francesco Scalia e Maria Spilabotte). Dopo una legislatura al Parlamento europeo, Francesco De Angelis non ha ottenuto la riconferma finendo schiacciato dalle logiche romane del partito. Nei Comuni sono arrivate più sconfitte che vittorie: a Frosinone, a Ceccano, ad Alatri, a Pontecorvo, ad Anagni. Le percentuali del Pd alle politiche sono bassissime. Alla luce di tutto questo, quale il vantaggio di essersi schierati con chi ha governato la Regione Lazio pere dieci anni e il partito per un certo periodo? Nessuno. A qualcuno è mai venuto in mente che la mancanza di risultati per il territorio ha convinto i cittadini a guardare altrove? La bonifica della Valle del Sacco non c’è stata, la discarica di via Le Lame nel cuore dell’area industriale è ancora lì. Del potenziamento delle infrastrutture non c’è traccia, la sanità non ha fatto registrare passi avanti. Il Dea di secondo livello all’ospedale Fabrizio Spaziani non c’è. La gestione (buona) dell’emergenza legata alla pandemia non può cancellare tutto il resto. I tempi biblici per visite ed esami diagnostici sono rimasti. Le fermate dell’Alta Velocità a Frosinone e Cassino (comunque insufficienti) non bastano perché la svolta vera si avrebbe con la Stazione Tav in territorio di Ferentino-Supino. Ma di questo non si parla più. Adesso Nicola Zingaretti è stato eletto deputato e tra pochi giorni si dimetterà da presidente della Regione. In questi dieci anni il peso politico del Pd provinciale è complessivamente diminuito. Francesco De Angelis ha mantenuto il suo fortino, ma lui è un’eccezione. Non la regola. Per il resto il partito non ha parlamentari (né europei né nazionali), non esprime assessori regionali, ha meno sindaci e, come dimostrato dalle elezioni comunali di Frosinone, ha visto andare in frantumi la rete delle alleanze che per anni ha dato forza al centrosinistra. L’adesione in massa (con la sola eccezione di Antonio Pompeo) all’area zingarettiana sul piano politico è stata un fallimento per il Pd provinciale. Ma naturalmente oggi pomeriggio Luca Fantini, Mauro Buschini, Sara Battisti e Francesco De Angelis diranno il contrario.

NESSUNA PACE NEL CENTRODESTRA

L’abbraccio e i sorrisi in favore di telecamere non devono trarre in inganno. Silvio Berlusconi ha capito che senza un accordo con Giorgia Meloni Forza Italia sarebbe implosa e diversi “azzurri” avrebbero bussato alla porta di Fratelli d’Italia. Tutto qui.

La foto che ritrae Berlusconi e Meloni uniti pubblicata ieri sui social

Adesso ci saranno delle compensazioni sul numero e sul peso di ministeri e sottosegretariati, ma il centrodestra non è affatto compatto. Nemmeno a livello locale, dove Fratelli d’Italia e Lega continuano ad ignorarsi e Forza Italia cerca di capire se ha ancora degli spazi da poter percorrere. Non c’è alcun segnale di un vertice della coalizione, che pure servirebbe considerando che tra pochissimo si voterà per eleggere il presidente della Provincia e per le regionali. Nessuna pace e nemmeno una tregua. Semplicemente si va avanti in ordine sparso.

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