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Si fa presto a dire proporzionale. L’illusione delle candidature blindate. Movimento, Grillo spegne tutte le stelle

Licandro Licantropo
Nel Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo ha fatto sentire, forte e chiara (come direbbe Domenico Marzi), la voce del padrone all’avvocato del popolo Giuseppe Conte e al portavoce con ambizioni parlamentari Rocco Casalino.
Luglio 30, 2022
Beppe Grillo

Le analisi approssimative e superficiali considerano blindate le candidature nelle liste dei collegi proporzionali, ma in realtà ci sono due elementi da valutare. Intanto che in quelle posizioni i partiti hanno sempre inserito big nazionali e regionali, come fosse un paracadute per un esito negativo nei maggioritari. Inoltre, appunto perché proporzionali, a contare saranno le percentuali che prenderanno le singole forze politiche. Non esistono automatismi.

IL PRECEDENTE DEL 2018

Cominciamo con il dire che il collegio proporzionale della Camera del Basso Lazio è formato dai 124 Comuni delle province di Frosinone e Latina. Le liste saranno formate da 4 candidati: donna-uomo oppure uomo-donna. L’alternanza è obbligatoria. Il collegio Lazio 2 elegge 12 deputati: 5 con il maggioritario, 7 con il proporzionale. Di questi 7, del Basso Lazio ce ne saranno 4. Al Senato è ancora più complicato perché il collegio proporzionale, oltre a Frosinone-Latina racchiude anche le circoscrizioni di Viterbo e Guidonia Montecelio. In tutto il Lazio a Palazzo Madama entreranno in 18: 6 attraverso gli uninominali, 12 con il plurinominale. Si sente dire che… tanto comunque ci sono… i listini blindati del proporzionale. E’ così? No.

Basta dare uno sguardo alle candidature del 2018. Nel plurinominale Latina-Frosinone della Camera Fratelli d’Italia candidò Francesco Lollobrigida, Maurizia Barboni, Roberto Toti, Rachele Mussolini. In Forza Italia c’erano Sestino Giacomoni, Patrizia Marrocco, Alessandro Calvi, Barbara Pelagotti. Per la Lega Claudio Durigon, Francesca Gerardi, Fabio Forte, Federica Censi. Per il Partito Democratico Claudio Mancini, Rosa Maria Di Giorgi, Francesco De Angelis, Civita Paparello. Il Movimento Cinque Stelle: Luca Frusone, Ilaria Fontana, Raffaele Trano, Enrica Segneri. Parliamo solo dei partiti più grandi. Per i ciociari doc pochi spazi, molti dei quali non eleggibili.
Proseguiamo con il Senato. Il Pd: Monica Cirinnà, Claudio Moscardelli, Maria Spilabotte, Stefano Pedica. La Lega: Alberto Bagnai, Sonia Fregolent, William De Vecchis, Kristalia Papaevangeliu. Fratelli d’Italia: Marco Marsilio, Isabella Rauti, Nicola Calandrini, Monica Picca. Forza Italia: Claudio Fazzone, Mariarosaria Rossi, Giuseppe Incocciati, Monia Di Cosimo. Movimento Cinque Stelle: Elena Fattori, Emanuele Dessi, Marinella Pacifico, Gianluca Bono.

Con l’assoluta eccezione dei Cinque Stelle, che elessero Luca Frusone e Enrica Segneri, nel proporzionale ce la fece Francesca Gerardi nella Lega. Per quanto riguarda la Camera. Claudio Durigon è della provincia di Latina. Come della provincia di Latina erano, per il Senato, Nicola Calandrini (FdI) e Marinella Pacifico (Cinque Stelle).

La lezione che ne viene fuori è semplice: intanto la Ciociaria faticava a piazzare propri rappresentanti con 345 seggi in più, figuriamoci adesso. In secondo luogo contano le percentuali dei partiti. Il 2018 fu l’anno di Cinque Stelle e Lega. Stavolta i sondaggi danno dei vantaggi abissali per Fratelli d’Italia e Pd, che nei collegi proporzionali faranno la parte del leone. Ulteriore considerazione: FdI è l’unico partito che avrà spazi enormi per candidare i propri rappresentanti e che non sarà penalizzato dal taglio di 345 posti. Perché nel 2018 era poco sopra il 4% e adesso sfiora il 25% (e può salire ancora). Mentre Lega e Forza Italia dovranno fare i conti con percentuali più basse: è questa la ragione per la quale le candidature nel proporzionale non sono una zona franca. I Cinque Stelle non hanno scelta invece: nel maggioritario sono tagliati fuori perché non fanno alleanze, quindi punteranno tutto su alcuni collegi plurinominali per portare a Montecitorio e Palazzo Madama un manipolo di fedelissimi (a Grillo più che a Conte e a Casalino). Il Pd potrebbe avere qualche punto percentuale in più rispetto al 2018, ma non tale da compensare la sforbiciata delle poltrone. Quindi sarà difficile ottenere un seggio nelle province come quella di Frosinone.

Anche l’assegnazione dei collegi maggioritari (4 nel Basso Lazio) avverrà con logiche e passaggi nazionali e regionali. Tenendo presente la suddivisione nazionale, la classificazione delle “caselle” e gli uscenti. Dalle nostre parti, di uscenti, Fratelli d’Italia ne ha due: i senatori Massimo Ruspandini e Nicola Calandrini. Due punti fermi. Nella Lega e in Forza Italia, invece, la situazione non potrebbe essere più complicata.

LA RESA DI CONTE

Intanto nel Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo ha fatto sentire, forte e chiara (come direbbe Domenico Marzi), la voce del padrone all’avvocato del popolo Giuseppe Conte e al portavoce con ambizioni parlamentari Rocco Casalino. No alla deroga sul tetto dei due mandati. Resteranno fuori il presidente della Camera Roberto Fico, l’ex ministro della giustizia Alfonso Bonafede (l’uomo che ha portato Conte all’interno dei Cinque Stelle), la vicepresidente vicaria del Senato Paola Taverna, l’ex capo politico Vito Crimi (mentore di Ilaria Fontana). Ma pure il ministro delle politiche giovanili Fabiana Dadone, quello per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, Danilo Toninelli, Riccardo Fraccaro, Giuseppe Brescia, Nunzia Catalfo, Giulia Grillo, Claudio Cominardi, Gianni Pietro Girotto. In realtà Beppe Grillo non poteva fare diversamente, altrimenti avrebbe dato ragione a Luigi Di Maio. Però l’ex comico genovese ha dato una lezione politica durissima all’avvocato del popolo. In questo modo gli ha azzerato la piattaforma dei fedelissimi e lo costringe a rivedere le candidature blindate. Pronti a scommettere che quelle davvero sicure faranno riferimento a Grillo? A questo punto può rientrare Alessandro Di Battista. Soprattutto comunque il fondatore ha aperto un’autostrada a quattro corsie (in un’unica direzione) all’ex sindaca di Roma Virginia Raggi. Intanto sarà candidata ed eletta, poi il Movimento potrebbe prenderselo lei. In una trama che ricorda un gioco ad eliminazione, alla fine in piedi ne resterà uno (o una) soltanto. Sicuramente non sarà Giuseppe Conte da Volturara Appula.

Un’ultima considerazione dedicata a Carlo Calenda: sta costruendo una squadra competitiva, nella quale ha “arruolato” le ex ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna (quest’ultima in Campania ha i voti veri e può far male a Forza Italia). Il leader di Azione questa volta sarà posizionato con il Pd, ma in generale il suo movimento non ha confini rigidi. Un elemento che il centrodestra dovrebbe considerare perfino dopo il 25 settembre. Le “fatwe” di Antonio Tajani lasciano il tempo che trovano.

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