Il punto è uno solo: Giorgia Meloni può ancora fidarsi degli alleati, anche se oggi dovessero dirle che va bene la regola che chi prende un voto in più esprime il premier? Il motivo della domanda è semplice: in ogni caso la questione verrebbe definita dopo il 25 settembre, quando, in nome di quelle larghe intese che hanno caratterizzato la politica italiana degli ultimi dieci anni, nulla vieterebbe a Lega e Forza Italia di spostare i propri parlamentari su un altro campo. Cosa che peraltro il Carroccio ha fatto nel 2018, quando andò a sostenere il Conte 1 rompendo l’unità del centrodestra. Nel vertice di oggi fra la stessa Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini si parlerà anche della divisione dei collegi uninominali. In tutti i sondaggi (idolatrati da Berlusconi per decenni, quando era lui al primo posto), Fratelli d’Italia prende più di Lega e Forza Italia insieme. Finora sono state le rilevazioni sulle intenzioni di voto a regolare la divisione dei collegi. Adesso invece “azzurri” e leghisti vorrebbero inserire tra gli elementi di valutazione pure i dati… storici. Roba da saltare sulla sedia.
Probabile che verso le 19 Berlusconi e Salvini dicano alla Meloni che la premiership andrà a chi prenderà un solo voto in più. Ma la leader di Fratelli d’Italia potrà fidarsi? C’è inoltre una specie di paradosso. Per quale motivo Lega e Forza Italia hanno disarcionato Mario Draghi se adesso non hanno le idee chiare su chi mandare a Palazzo Chigi? Incertezze che nei sondaggi sembrano pesare tantissimo sulle percentuali dei partiti di Salvini e Berlusconi.
IL CAOS E’ TRASVERSALE
Nel campo dei progressisti non va meglio. Enrico Letta si è proposto come candidato alla presidenza del consiglio. Ambizione legittima e suffragata dai fatti pure in questo caso: il Pd è ampiamente il primo partito. Ma Carlo Calenda (Azione) ha scatenato l’offensiva dei cavilli: prima evocando una discesa in campo di Mario Draghi (?), poi dicendosi disponibile lui per la presidenza del consiglio. Matteo Renzi ripete un’ora sì e l’altra pure che non ha timore di andare da solo. Luigi Di Maio ha capito che avrà spazi ridottissimi e che soltanto in pochi di Insieme per il Futuro potranno essere ricandidati. E resta in silenzio. Nel Movimento Cinque Stelle (sempre più in caduta libera nei sondaggi) Giuseppe Conte ha fatto un altolà anche ad Alessandro Di Battista: “se rientra – ha detto l’avvocato del popolo – dovrà allinearsi”. A chi? A lui e a Rocco Casalino naturalmente. I pentastellati continuano a perdere pezzi allegramente e non è finita. La preoccupazione di Conte però è una sola: essere eletto lui con pochi fedelissimi. Ieri ha aperto la strada al superamento del limite dei due mandati. Se così dovesse essere, a dimettersi davvero dovrebbe essere Beppe Grillo. La verità storica è una soltanto: senza Gianroberto Casaleggio il Movimento è finito.
Il sindaco di Milano Beppe Sala si è tirato fuori (giustamente), mentre in Lombardia Letizia Moratti ha fatto capire di voler andare avanti sulla candidatura alla presidenza della Regione e a questo punto Attilio Fontana non può dormire sonni tranquilli.
USCENTI E OUTSIDER
In tutti i partiti la prima fase, quella della raccolta delle possibili candidature, è affidata ai responsabili regionali. Cioè a Bruno Astorre (Pd), Paolo Trancassini (Fratelli d’Italia), Claudio Durigon (Lega), Claudio Fazzone (Forza Italia). Nel Movimento Cinque Stelle invece in tutta Italia se ne occuperanno Conte e Casalino.
Con 345 poltrone in meno saranno in tanti ad essere esclusi. Ovunque. Tra i parlamentari uscenti della provincia di Frosinone a non avere problemi per una ricandidatura è il senatore Massimo Ruspandini (Fratelli d’Italia), il quale comunque si è messo a disposizione del partito e aspetta di sapere in quale collegio dovrà concorrere. Nei Cinque Stelle Ilaria Fontana è una fedelissima di Vito Crimi: nel collegio proporzionale ci sarà, ma bisognerà capire in quale posizione perché le percentuali del Movimento non sono certamente quelle del 2018. Per gli altri uscenti la strada che porta alla ricandidatura è come una tappa pirenaica del Tour de France: una scalata durissima. Il discorso vale per Gianfranco Rufa e Francesca Gerardi nella Lega, per Enrica Segneri nel Movimento Cinque Stelle, per Luca Frusone in Insieme per il Futuro di Di Maio. C’è anche Francesco Zicchieri, fresco di adesione a Italia Viva. Nel 2018, con la Lega, venne eletto nel collegio maggioritario della Camera Frosinone. Quei tempi sono finiti, adesso la partita è completamente diversa.
Non sono tra gli uscenti il leader provinciale del Pd Francesco De Angelis e il coordinatore provinciale della Lega Nicola Ottaviani. Entrambi stanno cercando e cercheranno di ottenere una candidatura, ma al momento è impossibile sapere se ce la faranno ed immaginare eventualmente dove: se nel maggioritario o nel proporzionale per esempio. In ogni caso le chances maggiori sono per l’ex sindaco di Frosinone che Salvini e Durigon ritengono, a ragione, un valore aggiunto per la Lega e per il territorio.
Nessuno dice che la mannaia del taglio dei parlamentari avrà effetti fortissimi perfino nelle architetture costituzionali di altra organi fondamentali. La composizione del Csm, della Corte Costituzionale e di molto altro è stata immaginata su 945 parlamentari. Adesso che sono 600 gli assetti andrebbero rivisti. Infine, è ormai chiaro che alcune riforme ipotizzate non verranno fatte: il ritorno all’elezione diretta e del presidente e dei consiglieri delle Province e l’abolizione del tetto dei due mandati per i sindaci dei Comuni più grandi. Questo in prospettiva vorrà dire un aumento incontrollabile di malpancisti, che non avranno alcun tipo di futuro. Facile immaginare gli effetti perfino sulla militanza nei singoli partiti. Resteranno esclusivamente quelli che credono nelle idee, nei valori e nella politica. Pochi ma buoni?