L’ultima barzelletta di Silvio Berlusconi è quella di Antonio Tajani premier con l’endorsement del Partito Popolare Europeo. Purtroppo non fa ridere. Anzi indebolisce un centrodestra che il fondatore di Forza Italia prova a terremotare. Non soltanto Giorgia Meloni, ma anche Matteo Salvini dovrebbe cominciare a chiedersi quale sia la reale strategia di Berlusconi. La sua ostinazione ad essere candidato alla presidenza della Repubblica ha determinato in anticipo la sconfitta della coalizione e il continuo e sistematico sostegno di FI a governi tecnici dimostra che per il Cavaliere il centrodestra è un concetto esistito solo quando era lui a guidarlo. Nei prossimi due mesi ogni giorno ci sarà una notizia “soffiata” ai giornali per raggiungere uno scopo: minare la leadership di Giorgia Meloni.
I GIOCHETTI CHE PORTANO A TAJANI
Berlusconi non vuole Meloni premier. Si è immediatamente lanciato in un ragionamento surreale: a decidere l’inquilino di Palazzo Chigi sarà l’assemblea dei parlamentari eletti. L’obiettivo è chiaro e puerile: Lega, Forza Italia e centristi potrebbero avere, tutti insieme, un numero di senatori e deputati tale da contrastare quelli di Fratelli d’Italia. Ma da quando in un democrazia occidentale il partito e il leader che prendono più voti non governano? Poi la soluzione Antonio Tajani, caldeggiata addirittura dal Partito Popolare Europeo. Che c’entra con l’Italia? Antonio Tajani in Ciociaria lo conoscono bene: sulla carta è originario di questa zona, alla quale però nulla ha dato in decenni di carriera politica ad alto livello in Europa. Una carriera costruita senza mai esporsi, restando costantemente il numero due, tre, quattro o cinque. Sempre all’ombra di Berlusconi, senza mai uno scatto di autonomia. Nemmeno quando dal partito glielo chiedevano in tanti. Forza Italia non ha più il 35%, fatica ad arrivare in doppia cifra. Perché dovrebbe esprimere il premier? Perché, ripetono, le forze sovraniste spaventano l’Europa. Favolette. Fratelli d’Italia ha posizioni chiare sulla guerra, sull’energia, sulle materie prime, sugli assetti industriali, sul ruolo del Paese, perfino sull’Europa. Mentre Silvio Berlusconi è campione del mondo a barcamenarsi, a stare un pò di qua e un po’ di là. Tajani è perfetto perché può essere tutto e il contrario di tutto. Sul fatto che il premier possa essere lui, come al solito, si è schermito, ha rilasciato dichiarazioni vuote e di facciata, senza esporsi. Ricordando di essere a disposizione dei cittadini e del partito. Scontato, banale, con un profilo costantemente basso. Dalla Ciociaria è sparito da anni, da quando non organizza più la convention fiuggina dell’Italia e dell’Europa che vogliamo. Si è spostato in quel di Viterbo. Sporadicamente passa a Fiuggi dal suo amico Peppe Incocciati ma non svolge attività politica sul territorio. Non ci prova nemmeno dopo l’altolà del senatore e coordinatore regionale Claudio Fazzone.
La posizione di Forza Italia rappresenta oggettivamente un ostacolo sulla strada del possibile governo di centrodestra: la quinta colonna dello schieramento avversario e delle forze progressiste che puntano ad un altro pareggio per arrivare all’ennesimo esecutivo tecnico.
Giorgia Meloni ha già detto che le regole non si possono cambiare in corsa e che chi avrà più voti deciderà il premier. Sembra pensarla così (almeno è quello che dice) anche Matteo Salvini. “Basta cene a casa di Berlusconi”, ha detto la leader di Fratelli d’Italia. Significa che c’è una sola dimensione nella quale il centrodestra può e deve confrontarsi, quella politica. Non è più tempo di barzellette.
LETTA E ZINGARETTI
Il segretario del Pd ha in mente un solo schema: alleanza tra Democrat e Azione di Carlo Calenda, più apertura ad un vasto arcipelago centrista nel quale però non ci sia Matteo Renzi. Chiusura totale ai Cinque Stelle. Nel partito in tanti la pensano come lui, ma non Nicola Zingaretti. Nel Lazio Roberta Lombardi ha subito messo le mani avanti: l’alleanza con il Pd deve continuare. Zingaretti è sulla stessa lunghezza d’onda. Tra lui e Letta si potrebbe arrivare ad un chiarimento, anche perché l’idea di dimettersi subito da Governatore non piace al leader del Nazareno, secondo il quale il Pd avrebbe bisogno di tempo per preparare le elezioni regionali. Per lui la data migliore sarebbe gennaio. Non c’è unità di vedute. Di sicuro l’apertura privilegiata di Letta ad un’alleanza con Calenda cambierebbe gli assetti e le prospettive del centrosinistra. Sia in caso di vittoria che di sconfitta. Mentre invece l’area di Nicola Zingaretti mal sopporta Azione e il suo ingombrante leader.
RAGGI E “DIBBA” SE CONTE SALTA
Anche Beppe Grillo è un leader stanco e superato dalla cronaca prima che dalla storia. Il Movimento Cinque Stelle si è dissolto, ha perso parlamentari e consenso. Ma lui “esterna” come se niente fosse, definisce traditori tutti quelli che hanno scelto altre strade. Ma si guarda bene dal fare l’unica considerazione che è sotto gli occhi di tutti: da quando Giuseppe Conte è il capo politico il Movimento ha perso la bussola politica ed è diventato assolutamente ininfluente. Grillo in realtà non sopporta l’avvocato del popolo e quindi potrebbe determinare un ulteriore cambio al vertice. Si parla molto dell’ex sindaca di Roma Virginia Raggi: è stata lei a determinare il no dei pentastellati alla fiducia al governo Draghi. Opponendosi al termovalorizzatore di Roma, contenuto nel Decreto Aiuti. Potrebbe rientrare Alessandro Di Battista, che dopo un girovagare senza meta da un capo all’altro del pianeta, vorrebbe tornare a casa. Specialmente adesso che non c’è più Luigi Di Maio. Giuseppe Conte non mollerà facilmente. Chissà se i Cinque Stelle potrebbero fronteggiare l’ennesima scissione… Non si contano più. Il 25 settembre arriverà e allora si capirà quanto pesa elettoralmente un Movimento che Grillo e Casaleggio avevano forgiato nel Vaffa Day, nelle riunioni in streaming e nella logica dell’uno vale uno. Poi sono arrivati Giuseppe Conte e Rocco Casalino, per i quali l’uno vale l’altro: prima con la Lega, poi con il Pd, quindi con Draghi.