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La sconfitta è orfana: scaricabarile del Pd zingarettiano. Le tante incognite delle minestre riscaldate

Licandro Licantropo
Inequivocabile la critica politica all’indirizzo della federazione provinciale del partito, da Francesco De Angelis a Luca Fantini, da Mauro Buschini a Sara Battisti. Ma è proprio così? No, però quelle parole confermano che Bruno Astorre vuole affondare Pensare Democratico
Giugno 29, 2022
Il segretario regionale Dem, Bruno Astorre con Domenico Marzi

Bruno Astorre è passato dal “Forza Memmo Marzi sindaco” senza se e senza ma di cinque giorni fa alla seguente analisi riportata dal Corriere della Sera: “A Rieti si vince solo se il centrodestra è spaccato, a Viterbo quando un civico va al ballottaggio con l’una o con l’altra coalizione stravince. A Frosinone è mancata la costruzione del Campo largo, Azione e i Socialisti erano fuori”.

Per il segretario regionale del Pd, mentre a Rieti e a Viterbo la sconfitta era inevitabile, a Frosinone chi doveva costruire il Campo largo non lo ha fatto bene. 

Inequivocabile la critica politica all’indirizzo della federazione provinciale del partito, da Francesco De Angelis a Luca Fantini, da Mauro Buschini a Sara Battisti. Ma è proprio così? No, però quelle parole confermano che Bruno Astorre vuole affondare Pensare Democratico. Non per quanto successo nel capoluogo ciociaro, ma per la scelta di De Angelis di appoggiare Enrico Gasbarra, e non più Daniele Leodori,  per la candidatura alla presidenza della Regione Lazio.

CAOS DEMOCRAT

Nel Pd sta semplicemente andando in onda il più classico degli scenari post voto quando si perde: lo scaricabarile. I profeti del Campo largo a Frosinone sono stati Nicola Zingaretti e Bruno Astorre: loro hanno chiesto e ottenuto la “testa” di Mauro Vicano, per un anno candidato di un centrosinistra che doveva celebrare le primarie. Francesco De Angelis si è dovuto adeguare, sudando le proverbiali sette camicie per convincere un riluttante Memmo Marzi

Il mancato accordo con i Socialisti dipende sicuramente da situazioni di carattere locale, ma anche dal veto assoluto di Nicola Zingaretti verso uno dei partiti fondatori dell’Ulivo. Sia il presidente del Lazio che lo stesso Astorre sono stati (e sono) dei “talebani” dell’asse privilegiato con i Cinque Stelle. Culminato con le nomine in giunta di Roberta Lombardi e Valentina Corrado e con il feeling, resiliente a tutto, tra Giuseppe Conte e Goffredo Bettini, uno che negli ultimi anni ha sbagliato tutte le mosse e ogni tipo di previsione. 

Ciò non toglie che al Comune di Frosinone il Pd di Francesco De Angelis sconta soprattutto un errore, che è quello di non aver costruito in dieci anni una classe dirigente nuova e alternativa. Bruciando candidati a sindaco di prestigio: Michele Marini, Fabrizio Cristofari, Mauro Vicano, Domenico Marzi. Però la mancata  costruzione di un vero Campo largo è addebitabile soprattutto a Zingaretti e Astorre.

CALENDA RISPONDE PICCHE E SI SMARCA

Nei ballottaggi del Lazio il centrosinistra ha perso 5-2. E non bisogna dimenticare la sconfitta di Rieti al primo turno. Ad un anno dalle regionali siamo ad un passo dalla crisi di panico. Infatti Bruno Astorre ha detto: “Per le regionali deve essere costruito uno schieramento larghissimo sul modello Zingaretti e ci auguriamo che Calenda ne faccia parte. Sta partecipando a tutti i nostri tavoli tematici”.

Il leader di Azione, sempre sul Corriere della Sera, ha risposto: “E’ ancora presto per parlarne. Siamo molto contenti per Sabaudia ma anche per i risultati in altre città. La soluzione che ho proposto è Alessio D’Amato, un bravo tecnico politico in ticket con un nostro candidato visto che a Roma siamo stati il primo partito. Se vogliamo farlo, è una strada che siamo pronti a percorrere”. A Sabaudia Azione ha sostenuto il candidato del centrodestra. Come hanno fatto Mauro Vicano e Alessandra Sardellitti a Frosinone. Il partito di Calenda fa risultato quando si presenta “contro” il Pd, non “con”. Dovrà farsene una ragione il segretario provinciale Antonello Antonellis.

Nel Lazio il Partito Democratico deve chiarire molti equivoci e deve farlo Zingaretti. Li elenchiamo: a) l’asse con i Cinque Stelle andrà avanti? b) le primarie si faranno davvero o in realtà si sta lavorando per paracadutare Enrico Gasbarra? c) Daniele Leodori e Alessio D’Amato vengono considerati come delle risorse o come degli intralci?
Se a questi quesiti non verranno date risposte puntuali ed esaurienti scoppierà (prestissimo) la guerra delle correnti: Dario Franceschini e Bruno Astorre con Leodori, Nicola Zingaretti, Roberto Gualtieri, Goffredo Bettini e Claudio Mancini con Gasbarra. Con il quale si sono posizionati Francesco De Angelis, Mauro Buschini e Sara Battisti. Inoltre Alessio D’Amato non resterà a guardare. 

Nel Lazio la controtendenza è stata totale: ha vinto un centrodestra unito, è franato un centrosinistra diviso e demotivato. Il centrosinistra di Nicola Zingaretti. Il senatore Francesco Giro (Forza Italia) ha commentato: “Per il Pd nel Lazio è stata una Caporetto. Hanno perso in tutti i capoluoghi di provincia, tranne Roma dove è rimasto Gualtieri con tutti i problemi che ha. Il risultato delle amministrative rende il Lazio un tema pregiatissimo per il centrodestra”. Altrove ha funzionato, ma nella nostra regione il Campo largo è stato spazzato via. Nicola Zingaretti lo sa anche se non lo ammette.

A VOLTE NON RITORNANO. ANZI, MAI

Chi nel Pd è pronto a tutto per candidare Enrico Gasbarra alla presidenza della Regione Lazio dovrebbe riflettere sul fatto che le “minestre riscaldate” perdono sapore e non funzionano. L’ex presidente della Provincia di Roma è fuori dai giochi veri da troppo tempo. Si muove benissimo nei palazzi della politica e nei salotti romani, ma prendere i voti è un’altra cosa. Daniele Leodori e Alessio D’Amato sono invece sul pezzo da anni. Incombe l’effetto ritorno che si trasforma in boomerang. E’ successo ad un sindaco storico di Roma come Francesco Rutelli, strapazzato da Gianni Alemanno. E’ successo, sulla sponda opposta, a Vincenzo Zaccheo a Latina, che ha subito una rimonta choc da Damiano Coletta. E’ successo a Domenico Marzi a Frosinone, che in passato aveva vinto per due volte al ballottaggio, contro avversari come Italico Perlini e Nicola Ottaviani. In politica le situazioni cambiano alla velocità della luce e l’illusione di fermare il tempo si rivela tale. Un ragionamento che vale perfino per un “monumento” come Silvio Berlusconi, l’uomo che si è inventato il centrodestra in Italia. Ma che oggi è preoccupato soltanto dal non riconoscere la leadership di Giorgia Meloni. Facendo prevalere, come successo a Verona, la logica del “muoia Sansone con tutti i Filistei”. A proposito: nel Lazio Forza Italia dove e con chi ha intenzione di schierarsi? E chi lo deciderà: Silvio Berlusconi e Antonio Tajani o Claudio Fazzone?

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