Adrenalina a mille ieri sera nei comizi di chiusura di Riccardo Mastrangeli e Domenico Marzi, praticamente in contemporanea. Alla Stazione il primo e di fronte alla Villa Comunale il secondo. Entrambi i candidati a sindaco sicuri di poter vincere, al primo turno oppure al ballottaggio. Intanto però la “politica nelle piazze” è sempre un bel colpo d’occhio. Innanzitutto perché rappresenta una boccata d’ossigeno per concetti come partecipazione e democrazia, in secondo luogo dopo oltre due anni di pandemia la voglia di normalità è straripante. Detto tutto questo, però, la provincia di Frosinone appare sempre più “lunare” con riferimento a tematiche di attualità destinate a cambiare perfino la vita delle persone.
IL GRANDE BLUFF DELL’ELETTRICO
Il voto del Parlamento europeo sul taglio delle emissioni di anidride carbonica del 100% al 2035 avrà conseguenze pesantissime. Significa stop alla vendita, e quindi alla produzione, di auto con motore termico a partire da quella data, che significa domani mattina in una materia del genere. Il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ha parlato di “decisione ideologica che rischia di consegnarci ai produttori asiatici come accaduto con il gas russo”.
Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha individuato l’assurdità del paradosso, considerando che in questo modo ad essere avvantaggiata sarà la Cina, cioè il Paese che più di tutti inquina nel mondo. Gli industriali hanno stimato in circa 450 le imprese più esposte perché operative quasi esclusivamente su produzioni legate ai motori a benzina o diesel. Un allarme che può riguardare fino a 70.000 dipendenti.
In Ciociaria l’automotive è un settore chiave, non solo per il sito Stellantis di Piedimonte San Germano. La componentistica e l’indotto sono fondamentali. Eppure nessuno ha sentito il bisogno di alzare la mano, di porre il problema, di predisporre una linea di difesa nei confronti di una decisione ideologica. Nessuno si è chiesto se nel 2035 (domani mattina) l’Italia sarà attrezzata per le auto elettriche, al momento inavvicinabili per le famiglie e per le persone normali.
Le colonnine per la ricarica non sono uno “scherzo”: vanno realizzate in maniera massiva e poi posizionate e alimentate. Ragionando per paradossi perfino estremi, siamo sicuri che non si verificheranno scenari di auto ferme in autostrada perché a corto di… ricarica? E se, ad esempio, dovessero verificarsi nevicate abbondanti o temporali improvvisi in grado di mandare in tilt il sistema, cosa succederebbe? Non c’è da sorridere dal momento che si sta parlando di decarbonizzazione quando ancora non abbiamo compiuto la transizione energetica. In Italia non potrà esserci nel 2035 abbastanza energia pulita per alimentare le flotte di auto elettriche che qualcuno immagina. E’ impossibile.
In ogni caso un provvedimento del genere vuol dire alzare bandiera bianca sul fronte della competitività manifatturiera: europea, italiana, locale. E’ una scelta di politica industriale e di commercio internazionale che va in un’unica direzione: la sottomissione alla Cina.
I più grandi studiosi di relazioni internazionali hanno parlato esplicitamente di cessione di sovranità tecnologica. Paolo Bricco ha scritto su Il Sole 24 Ore: “La sera, dunque, tutti a cena da Greta Thunberg. In particolare a cena da Greta quell’operaio e quell’impiegato ogni tre operai e tre impiegati che perderanno il posto di lavoro… Il vero tema geopolitico è un altro. Si è rinunciato alla sovranità tecnologica del diesel. Si è accettata la sottomissione alla Cina, che controlla tutte le catene del valore asiatiche e africane innervate dalle materie prime e delle terre rare con cui si fabbricano le macchine elettriche”.
Chiara la posta in palio? Perché qui non siamo in presenza della giusta necessità di salvaguardare l’ambiente. Siamo in presenza di una logica da “talebani dell’ecologia” che travolge tutto. Specialmente il mondo del lavoro. L’Italia poi è particolarmente esposta perché produce più motori che autovetture: l’allarme dell’industria sull’impatto delle politiche per la decarbonizzazione promosse dall’Unione Europea è già oltre i limiti.
Marco Bonometti, presidente di Omr, ha affermato (sempre su Il Sole): “La scelta del Parlamento europeo ha di fatto cancellato la possibilità di dare riconoscimento e sostegno ai motori alimentati con carburanti non fossili, a basso contenuto di carbonio o alternativi come metano, biometano, idrogeno e bi-fuel. Il rischio è che questa posizione politica provochi la caduta in Europa della vendita delle vetture convenzionali e porti comunque un azzeramento di produzioni e investimenti con anni di anticipo sulla scadenza”. Una catastrofe annunciata.
Servirebbe un Governo in grado di dire no a scenari di questo genere. In provincia di Frosinone occorrerebbero prese di posizione da parte degli industriali e delle associazioni. Non si può sempre restare al coperto e nascondersi dietro la scusa che si tratta di temi di rilevanza internazionale. E’ vero, ma è importante far capire come la si pensa, specialmente alle imprese che con l’automotive vivono e pagano stipendi. Altrimenti, a cosa serve la rappresentanza? I posti di lavoro vanno tutelati: è una “battaglia” che vale la pena combattere.
CASO CATALENT E STAZIONE TAV: SOTTO IL VESTITO NIENTE
D’altronde siamo abituati ai silenzi, alle beffe, alle pacche sulle spalle. Siamo abituati alle fregature. La campagna elettorale è terminata e tra pochi giorni finiranno definitivamente nel dimenticatoio due argomenti seri. Il primo è la sospensione del decreto di perimetrazione del Sin Valle del Sacco, quello che ha portato alla fuga della Catalent e di altre aziende. Il 28 aprile scorso il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti aveva annunciato la svolta, dicendo all’assemblea degli industriali che quella scelta era stata “figlia di errori e illusioni”. Spiegò di essersi rivolto al premier Mario Draghi e al ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani.
Cosa è successo? Nulla. Politicamente l’ennesima vittoria dei “talebani dell’ecologia” e del no a tutto, specialmente al lavoro. Delle due l’una: o abbiamo scherzato oppure il Pd è totalmente succube dei Cinque Stelle. Propenderemmo per la seconda ipotesi. L’altro tema è quello della Stazione Tav Ferentino-Supino. Impossibile andare oltre gli studi di fattibilità, che non vogliono dire nulla. Soliti impegni generici, solita fuffa per prendere tempo. L’opera non si farà, lo hanno capito tutti. E non si farà anche perché da questo territorio non arriva mai una risposta forte di rottura. Nemmeno dalle elezioni, politiche o comunali che siano.