L’effetto trascinamento di Giorgia Meloni, la competenza di Carlo Calenda, la lucidità di Enrico Letta, la tigna fragile di Giuseppe Conte, la determinazione confusa di Matteo Salvini. I leader nazionali dei principali partiti sono venuti a Frosinone per le comunali. Con la sola eccezione di Forza Italia, almeno per il momento. Il capoluogo ciociaro non è diventato all’improvviso il centro del mondo, semplicemente le amministrative del 2022 sono un test significativo (ma non decisivo) per le successive politiche e regionali. Si sta cercando di capire quali saranno le coalizioni, chi ne farà parte e con quale ruolo.
IL TERMOMETRO DEL PAESE
Un bilancio può e deve essere fatto, agganciato anche alle strategie dei candidati a sindaco. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è stata l’unica ad aver avuto il coraggio di osare in una piazza vera, all’interno del Parco Matusa. L’ha riempita e galvanizzata parlando un linguaggio chiaro e semplice sul merito, sulle competenze, sulla necessità che questo Paese voti, che si rivolga davvero al popolo sovrano. Soprattutto ha difeso il progetto del centrodestra: non ci sono scorciatoie ed alternative a questa coalizione, a meno che Salvini e Berlusconi, pur di non riconoscerle la leadership, preferiscano continuare a governare con Pd e Cinque Stelle. La Meloni sa che fra un anno la scelta del futuro Governo sarà tra lei e un’esperienza simile a quelle di Monti e Draghi. Con tutti gli sconfitti (e i mancati vincitori) dentro.
Matteo Salvini ha trovato piena la sala al Fornaci, ma non era difficile. Ha detto una cosa che ha stupito: la Lega ha due liste, compresa la civica di Nicola Ottaviani. Un segnale di difficoltà: quando l’attuale sindaco aderì al Carroccio fu costretto a congelare l’esperienza di Movimento Italia. Nella Lega tutti sostenevano che contava solo il partito, non erano ammesse civiche. Oggi la situazione è ribaltata per il calo verticale nei sondaggi. La teoria che i voti si sommano può far esultare Ottaviani sindaco. Ma non può non preoccupare l’Ottaviani coordinatore provinciale del Carroccio.
Carlo Calenda ha parlato di economia, finanza, di Stato, di politica estera, di progetti, di Europa, legando il tutto al livello comunale. Il leader di Azione ha una competenza fuori dall’ordinario: il fatto stesso che si ispiri a Churchill la dice lunga. Però non perde di vista la concretezza: ha chiuso la porta a partecipazioni in coalizioni che prevedano alleanze con i Cinque Stelle, ha aperto uno spiraglio nei confronti di Fratelli d’Italia. Guarda sicuramente al risultato della lista di Azione e del candidato sindaco Mauro Vicano. Anche per giocarsi eventualmente le carte alle regionali. Giuseppe Conte da una parte ha parlato ai Cinque Stelle, dall’altra è andato oltre. La sua leadership tra i grillini resta debole e precaria, si rincorrono indiscrezioni su possibili scissioni qualora il suo ruolo di presidente dovesse essere ancora messo in discussione. Comunque ha soprattutto elencato i no dei Cinque Stelle. In particolare uno che riguarda da vicino questo territorio: no alla sospensione del decreto di perimetrazione della Valle del Sacco. Smentendo Nicola Zingaretti e tutto il Pd, che era lì ad applaudirlo. Con Mauro Buschini in prima fila. L’intervento di Giuseppe Conte ha messo in evidenza la fragilità di un’alleanza, tra Pd e Cinque Stelle, che si regge solo in funzione anticentrodestra. Enrico Letta si è affidato a Bruno Astorre e a Francesco De Angelis, ma si è accorto che la piazza non era piena come sarebbe stata in altri tempi. Pure lui ha il pensiero rivolto alle politiche e alle regionali e sa che dovrà superare parecchie contraddizioni del Campo largo: dal rapporto con i Cinque Stelle a quello con Calenda e Renzi. Spera che il risultato delle amministrative gli consegni un Pd forte e baricentrico rispetto ai potenziali alleati. Da Frosinone a Genova.
I CANDIDATI A SINDACO

Riccardo Mastrangeli (centrodestra) sta bussando a tutti i palazzi, casa per casa. Letteralmente. Ogni giorno visita una zona precisa: alcuni non rispondono (magari sono al lavoro), altri non aprono, ma la stragrande maggioranza lo sta a sentire. E’ stato assessore al bilancio negli ultimi dieci anni. Punta sulla continuità amministrativa ma anche sulla caratterizzazione politica di un centrodestra che non deve avere più timore a esaltare i propri valori. L’intesa con Fratelli d’Italia di Massimo Ruspandini e Fabio Tagliaferri è stata trovata su questo. Domenico Marzi (centrosinistra) insiste su Pnrr, organizzazione degli uffici e molto altro. Ma non perde occasione di attaccare, spesso ironizzando, il centrodestra e Nicola Ottaviani.

Mauro Vicano la campagna elettorale la sta facendo in modo mirato. Senza accendere troppo le luci. Vuole essere decisivo, può riuscirci. Vincenzo Iacovissi dall’inizio ha puntato su ricambio generazionale, Università e giovani: è una strategia precisa. La scommessa è intercettare quel tipo di consenso, senza disdegnare il voto disgiunto. Per il Psi di Gian Franco Schietroma è una battaglia importante su un territorio che per decenni è stata una roccaforte. Inoltre l’asse con il Pd è andato in frantumi e i Socialisti hanno voluto dimostrare che non hanno paura di contarsi. Giuseppe Cosimato ha scelto un profilo civico per una battaglia di rappresentanza politica più che amministrativa. Da verificare quanto vale in termini di consenso nel capoluogo.
LAZIO: MANOVRE IN CORSO PER NON FAR VINCERE IL CENTRODESTRA
Il 23 maggio scorso il consigliere regionale Alessandro Capriccioli (+Europa-Radicali) ha presentato una proposta di legge per cambiare l’elezione del presidente della Regione e dei consiglieri. Il Pd ha immediatamente drizzato le antenne perché il “cuore” della riforma è questo: se nessuno dei candidati alla presidenza dovesse raggiungere il 50% più uno dei voti al primo turno, si procederebbe dopo due settimane al ballottaggio fra i primi due. Secondo la tecnica consolidata del “fermare le destre”. Il fatto che le regionali del Lazio si svolgeranno (salvo clamorose sorprese) contemporaneamente alle politiche terrorizza il centrosinistra. Ed ecco entrare in campo i “furbetti” del voto. Il centrodestra è in vantaggio in tutti i principali sondaggi. In questo modo al secondo turno si potrebbe concretizzare la solita “ammucchiata” tesa prima che a vincere a far perdere l’avversario. Il provvedimento è stato assegnato a tre commissioni. Pd, Cinque Stelle, Lista Civica Zingaretti, +Europa, Centro Solidale, Liberi e Uguali hanno una maggioranza comunque risicata e approvare un testo del genere sul filo di lana determinerebbe problemi enormi sul piano dell’opportunità politica e dello stesso rispetto della democrazia sostanziale. In questo Paese siamo abituati a leggi elettorali cambiate sul suono della sirena. Molte si sono perfino trasformate in boomerang. Il Porcellum su tutte. Nicola Zingaretti, Daniele Leodori, Alessio D’Amato, Bruno Astorre non possono non porsi questi problemi. Nel centrosinistra però, nonostante tutto, la tentazione del “colpo di mano” è fortissima.
Giorgia Meloni è già pronta a scatenare una bufera politica e mediatica. La proposta di legge prevede pure che 32 dei 50 consiglieri verrebbero eletti in collegi uninominali maggioritari, eventualmente con il doppio turno. Mentre per altri 18 resterebbe il proporzionale. La provincia di Frosinone avrebbe un suo collegio uninominale coincidente con i confini del territorio. Una piccola rivoluzione che costringerebbe i candidati all’uno contro… tutti gli altri. Salvo per i paracadutati nel proporzionale. Inoltre l’eventuale doppio turno nel singolo collegio scatenerebbe un turbinio di alleanze, palesi e occulte, mai visto prima. Ma pur di scongiurare la vittoria del centrodestra si è disposti a tutto. Come quel bambino capriccioso che porta a casa il pallone se non riesce a vincere.