“Non ci può essere spazio per alcun collateralismo politico e partitico. In alcune parti d’Italia, a un occhio attento, le imprese sono troppo vicine a questo o a quel sistema di potere politico. Dobbiamo tutti guardarcene come da un contagio pericoloso”. Ha usato parole durissime il presidente Carlo Bonomi nell’assemblea privata di Confindustria. Una frustata alla politica ma anche a molti associati e a “pezzi” del sistema confindustriale. Ha citato Dante Alighieri (“Nel mezzo del cammin del mio mandato, mi ritrovai per una selva oscura”), Bonomi, per mandare letteralmente all’inferno il vasto girone degli ipocriti, degli ignavi e dei servi più o meno sciocchi.
PATTO PER L’ITALIA COLPITO E AFFONDATO
Bonomi ha spiegato ai 580 presenti (mai così numerosi) che “non esiste più la possibilità di affrontare la ripresa italiana attraverso un grande patto per l’Italia, pubblico e privato, imprese e sindacati, tutti insieme”. Non esiste più perché “i partiti preferiscono rapporti bilaterali con il presidente del consiglio e una parte del sindacato ha sempre risposto che avrebbe parlato solo con il Governo, non certo con noi”. Non esiste più perché questo è “un atteggiamento che il ministro Orlando ha del resto sempre incoraggiato, avendo a propria volta la stessa visione per cui il lavoro non va delegato alle parti sociali, ma è la politica che lo decide, spesso ideologica”. Carlo Bonomi ha definito gli imprenditori di Confindustria degli “eroi civili” perché con il loro impegno contengono l’inflazione rifiutando gli aumenti. E che proprio per questo non intendono aggiungere alle buste paga neppure un euro. “Gli aumenti retributivi li paghi lo Stato riducendo il cuneo fiscale”.
In Italia sono oltre 600 i contratti collettivi scaduti in attesa di rinnovo. E il nostro è l’unico Paese dell’Ocse dove i salari sono oggi più bassi rispetto a 30 anni fa. La frustata del leader di Confindustria colpisce anche il Governo Draghi. Anzi, forse soprattutto il Governo Draghi, che sta galleggiando da mesi quando invece tutto poteva fare meno che mediare tra le richieste di bassissimo profilo di questo o quel partito. Tra un anno ci saranno le elezioni politiche in Italia. La sfida che si profila è tra un Governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni e un un Esecutivo da “quasi tutti dentro” come quello attuale. Un’ipotesi che può delinearsi o se nessuno vince davvero o se Lega e Forza Italia decidono di continuare a stare con il Pd e i Cinque Stelle. Per questo proprio nelle ultime ore Giorgia Meloni ha rilanciato il “patto anti-inciucio”.
Carlo Bonomi ha voluto togliere Confindustria dall’arena politica. Lo ha fatto senza tentennamenti.
IL TAGLIANDO DI META’ MANDATO
Confindustria si è riunita per registrare la squadra di governo della quale fanno parte 10 vicepresidenti e una direttrice generale. Tre novità e sette conferme, tra le quali quella di Maurizio Stirpe vicepresidente con delega al lavoro e alle relazioni industriali. Il nuovo assetto, per il biennio 2022-2024, è quello definito lo scorso 21 aprile, con appena 5 voti contrari su 148. Gli avvicendamenti riguardano le deleghe per ambiente, sostenibilità e cultura (Katia da Ros al posto di Maria Cristina Piovesana), economia del mare (Pasquale Lorusso subentra a Natale Mazzuca) e digitale (esce Luigi Gubitosi, entra Agostino Santoni).
Per Maurizio Stirpe un ulteriore riconoscimento della bontà del lavoro portato avanti: mantenere per anni una delega come la vicepresidenza di Confindustria non è impresa da poco e gliene va dato atto.
IL FALLIMENTO DEL SISTEMA LAZIO
Carlo Bonomi ha demolito il Patto per l’Italia e la vicinanza tra imprese e politica. Naturalmente non ha fatto riferimenti specifici, ma nel Lazio, per esempio, in questi anni c’è stato un obiettivo asse d’acciaio tra Unindustria (Filippo Tortoriello prima e Angelo Camilli dopo) e la Regione Lazio guidata dal centrosinistra di Nicola Zingaretti. Quel modello è saltato dopo il caso Catalent, ma bisogna avere il coraggio di dire che è fallito.
Unindustria dovrebbe riconoscerlo e fare mea culpa. Basta guardare a quello che è accaduto in questi anni in provincia di Frosinone. La perimetrazione del Sin Valle del Sacco ha impedito sul nascere qualunque ipotesi di rilancio e di sviluppo. Gli imprenditori, piccoli e medi soprattutto, non hanno potuto avviare alcun tipo di intervento. Troppo costosi i carotaggi, troppo assurdi i limiti, troppo lunghi i tempi della burocrazia. Ma qui bisogna essere chiari. La politica non può nascondersi dietro la burocrazia. Nemmeno Nicola Zingaretti può farlo. E quando ha annunciato la proposta di sospendere il decreto di perimetrazione del Sin che in questi anni non ha mai messo seriamente in discussione, doveva perlomeno assicurarsi che il premier Mario Draghi e il ministro Stefano Cingolani lo prendessero sul serio. Questo non è avvenuto e poche ore dopo il sottosegretario alla transizione ecologica Ilaria Fontana (peraltro di questo territorio) lo ha smentito e stoppato. Altro che Fontana chi?
Ma gli industriali hanno un deficit di credibilità a prendere le distanze adesso. Perché in questi anni Unindustria non ha mai, al di là dei comunicati stampa, messo in discussione seriamente le non scelte della giunta regionale?
Se poi il modello di transizione ecologica è quello dei Cinque Stelle (no a tutto), a cosa serve? Fanno sorridere le critiche degli imprenditori ai pentastellati e non al Pd. Nel Lazio governano insieme, fanno parte della stessa giunta. Il caso Catalent ha rappresentato la punta di un iceberg enorme di mancate risposte alle aziende. La Regione non può pensare di autoassolversi politicamente ripetendo che la competenza è del Ministero. Non siamo su Scherzi a parte. C’è poi l’ulteriore beffa del fotovoltaico: sui terreni paralizzati dal Sin, visto che non si può fare altro, si potrebbero installare i pannelli per l’energia sostenibile. Niente, neppure quello. C’è sempre un cavillo che spunta come un coniglio dal cilindro.
IL GRANDE BLUFF DELLE FERMATE TAV
Unindustria è preoccupata dal fatto che la Stazione Ferentino-Supino è solo negli studi di fattibilità. Però non trova il coraggio e la forza di chiedere spiegazioni vere e definitive alla giunta regionale. Nei giorni scorsi a Frosinone Nicola Zingaretti ha detto, testualmente, che “chi denigra due fermate Tav è malato”.
Alziamo le mani e ci arrendiamo: noi di Politica7 siamo malati. Abbiamo tutti i sintomi: continuiamo a ripetere che le fermate di Frosinone e Cassino non sono da Alta Velocità, perché i Frecciarossa deviano dal percorso ordinario e rallentano nel tratto tra Sgurgola e Cassino. Continuiamo a ricordare che soltanto la Stazione Tav di Ferentino-Supino sarebbe sul tracciato dell’Alta Velocità e consentirebbe quindi il trasporto veloce delle merci e dei passeggeri, “agganciando” il Nord Italia e l’Europa per davvero. Inoltre le fermate di Frosinone e Cassino sono state rese possibili da un accordo tra Regione, Ministero e Ferrovie e per quell’accordo si paga un indennizzo. Non è stata cioè una missione eroica.
Sono passati due anni da inaugurazioni e fanfare. A che punto è l’iter per la Stazione? Ve lo diciamo noi: è su un binario morto. Soltanto l’inserimento nel Piano delle Ferrovie dello Stato darebbe certezze. Ma in quel Piano la Stazione di Ferentino-Supino non c’è. Per questo siamo malati.
La pensiamo come Carlo Bonomi che oggi ha affermato: “Non abbiamo mai diminuito la nostra costante e appassionata ricerca di incalzare istituzioni e partiti nella scelta delle misure e delle riforme più adeguate non solo per dare immediata risposta alle emergenze, ma per sbloccare dalle fondamenta i troppi colli di bottiglia che da decenni hanno inchiodato l’Italia a bassa crescita, produttività stagnante e allarmante estensione della povertà”.
Nel Lazio i colli di bottiglia (vedi perimetrazione del Sin e tutto il resto) sono ovunque e frenano la crescita. Sempre per citare Dante Alighieri, la diritta via è stata smarrita con largo anticipo.