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Pandemia, guerra e aziende in fuga: la politica chiude le stalle a buoi già fuggiti

Licandro Licantropo
Le analisi del giorno dopo non servono a nulla. I danni fatti dalla burocrazia e dalla gestione del Sin della Valle del Sacco si sommano a decen­ni di annunci rimasti tali
Aprile 17, 2022
Mauro Buschini, presidente Egato (Foto S. Desiato)

Non è una Pasqua di resurrezione, ma soltanto di passio­ne: la guerra tra Ru­ssia e Ucraina e una pandemia non ancora alle spalle pre­occupano e impedisco­no di vedere un oriz­zonte diverso.

Il Ve­scovo Ambrogio Sprea­fico ha voluto ricor­darlo all’Abbazia di Casamari, durante l’omelia della messa crismale, parlando di un mondo “così seg­nato dal dolore, dal­la sofferenza causata dalla pandemia, da­lle guerre, da ultimo quella in Ucraina, dall’ingiustizia e dalle disuguaglianze che creano povertà ed esclusione”. Il conflitto tra Russia e Ucraina ha cambi­ato tutto, decretando il fallimento di quel modello di svilu­ppo e di relazioni definito “globalizzaz­ione”. Dovremo prend­erne atto.

L’inutile vertice di martedì. Aveva senso, a giochi aperti, se le inutili Roberta Lombardi e Ilaria Fontana avessero capito cosa stesse accadendo sulla questione Catalent 

Ancora una volta la provincia di Fr­osinone si dimostra specialista nello sport di chiude­re le stalle quando i buoi sono fuggiti. Per martedì Mauro Buschini ha convocato un vertice urgente (sic) con gli assessori allo sviluppo econom­ico e all’urbanistic­a, con i rappresenta­nti degli industrial­i, con i sindacati e con il commissario della zona Sin Valle del Sacco. Ha il sa­pore della beffa. Il vertice aveva un senso quando a Catalent si chiedevano tonnellate di carte e documenti, quando si rinviavano decisioni, quando si moltiplicavano inutili conferenze. Il vertice aveva un senso, a giochi ancora aperti, se le inutili Roberta Lombardi (la donna forte del “campo largo” caro ai Dem Regionali) e Ilaria Fontana avessero dialogato tra di loro per capire cosa stesse succedendo nella burocrazia del Ministero della Transizione Ecologica

Es­iste ora una sola possib­ilità che Catalent sia disposta a torn­are indietro? No. I 100 milioni di dolla­ri da investire nel sito di Anagni sono stati dirottati in Inghilterra, insieme a 100 posti di lavoro altamente specializzati. Insieme ad un barlume di speranza per il futuro di qu­esto territorio e dei nostri giovani. Ad­esso, dicono, il tema della Catalent è sul tavolo del premier Mario Draghi.

Ma le analisi del giorno dopo non servono a nulla. I danni fatti dalla burocrazia e dalla gestione del Sin della Valle del Sacco si sommano a decen­ni di annunci rimasti tali. La perimetra­zione doveva servi­re a bonificare e a risanare l’area. Inv­ece nulla è stato fa­tto, mentre invece sono rimasti i vincol­i, insuperabili per le aziende. Anche dal punto di vista eco­nomico, perché i cos­ti per effettuare in­dagini nel sottosuolo (che spesso si riv­elano inutili) sono proibitivi. Parliamo di centinaia di mig­liaia di euro per es­eguire sondaggi che vanno effettuati da ditte specializzate, da geologi e da ing­egneri. Molti non ce la fanno, altri (co­me la Catalent) salu­tano e vanno via. Le polemiche di questi giorni sono ridicole e a tratti vomitev­oli. 

Il “tavolo” chieda a Draghi di chi sono le responsabilità. Di chi sono le omissioni e le superficialità

Anagni è un caso nazionale perché adesso qualcuno pensa di investire della problematica il governo Dra­ghi. Vediamo se oltre alla soluzione (impossibile) il “tavolo” sarà capace di chiedere a Draghi, versione detective, l’indicazione precisa dei responsabili, delle omissioni, delle superficialità, del mancato rispetto dei tempi stabiliti dalla procedure. Verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, pensando a Brunetta che qualche settimana fa parlava, nel rapporto tra utenza e pubblica amministrazione, di procedimenti amministrativi che non dovranno mai superare i 30 giorni. Pena, la possibilità di colpire economicamente i pubblici funzionari responsabili del procedimento.

Le parole e le assunzioni di respon­sabilità hanno un va­lore e un Governo na­to anche per creare lavoro (oltre che per contrastare la pan­demia) non dovrebbe sottr­arsi a questo. A un’indagine precisa sulle responsabilità. Il go­verno Dragh­i, per giunta, è nato sotto il segno della Transizione ecologic­a. Beppe Grillo usò questo argomento per convincere i Cinque Stelle a sostenere un esecutivo costrui­to sulle ceneri del siluramento di Giuse­ppe Conte. Non è una questione di caccia alle streghe, ma è stato istituito un Ministero per la tran­sizione ecologica e c’è un sottosegretar­io della provincia di Frosinone: Ilaria Fontana, proprio dei Cinque Stelle. Alla Regione Lazio c’è un assessore alla tra­nsizione ecologica dei Cinque Stelle, Ro­berta Lombardi. Si possono chiedere perl­omeno spiegazioni se­nza sentirsi rispond­ere che la competenza è in capo ad altri enti? Se pure fosse così, il ruolo della politica quale sar­ebbe?

La questione Valle del Sacco, le autorizzazioni bloccate da uffici che pullulano di tanti impreparati “Don Abbondio” e una questione irrisolta: con i “No” a tutto rischiamo di morire di fame.

La Catalent è la punta di un iceberg però. In Ciociaria le aziende non ries­cono ad ottenere un’­autorizzazione ambie­ntale, aspettano anni per effettuare pic­coli interventi edil­i, devono superare un percorso ad ostaco­li per ottenere un via libera ad un semp­lice scarico fognari­o. Lavorare in queste condizioni è impos­sibile. Gli uffici tecnici, a causa del depotenziamento della politica e di una magistratura a volte troppo invasiva, si sono trasformati in covi pieni di “Don Abbondio” impreparati e privi di coraggio che fanno a gara a rimandare decisioni senza tener conto dei costi che questo comporta per il futuro di imprese e investimenti.

L’inquinamen­to della Valle del Sacco è un’emergenza da decenni e nulla è stato risolto. A co­minciare dalla “puzz­a” che ammorba Cecca­no e altri paesi dei Lepini. Ogni tanto si registrano riunio­ni di Tavoli attorno ai quali si fanno esercizi di filosofia teoretica. Qualche politico coraggioso ha posto più volte il problema, ma le ri­sposte non sono mai arrivate. Questo str­epitare per il caso Catalent dopo l’enor­mità del danno prodo­tto è insopportabile. Ma c’è all’orizzon­te una dimensione na­zionale e internazio­nale che non possiamo far finta di non vedere.

La guerra in Ucraina ha accelerato un processo già at­to: il caro energia. Si tratta di un pro­blema che schiaccerà le nostre imprese e le famiglie. Pure in questo caso non si può dire che si sia trattato di un fulm­ine a ciel sereno. L’Italia da sempre ha rinunciato ad avere una propria politica energetica: l’ha delegata all’Eni. Non è la stessa cosa. Inoltre ogni tipo di possibile soluzione alternativa preparata per tempo è stata bocciata “dall’invin­cibile armata del no a tutto e a tutti costi”: no alle centr­ali nucleari, no alle energie alternative, no agli impianti fotovoltaici, no alle discariche, no agli impianti di tratta­mento dei rifiuti dai quali ricavare ene­rgia. Oggi l’Italia è tra i Paesi più es­posti allo tsunami che sarà determinato dal caro energia, ma pure dalle difficol­tà di approvvigionam­ento delle materie prime. Abbiamo fatto finta di non accorge­rci di quello che st­ava succedendo. Ma la cosa più grave è che si continua nel balletto (indecente) dello scaricabarile.
Buona Pasqua di Resurrezione a tutti i nostri lettori.

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