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Uomini sull’orlo di una crisi di nervi: Letta, Calenda, Renzi, Di Maio e l’alleanza che non c’è

Licandro Licantropo
Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e i centristi dell’Udc, di Noi con l’Italia e di Coraggio Italia hanno già trovato da tempo un accordo sulla suddivisione dei collegi maggioritari e stanno procedendo sia sul programma che sull’assetto del futuro governo.
Agosto 1, 2022
Carlo Calenda

Tra poche ore Carlo Calenda annuncerà la scelta di Azione: l’intesa con il Pd di Enrico Letta è ormai appesa ad un filo sottilissimo. L’idea è quella di andare per conto proprio, magari con Italia Viva di Matteo Renzi. Un Terzo Polo, che secondo il segretario del Partito Democratico favorirebbe le Destre (sì, lui usa il plurale), mentre per altri andrebbe a levare voti allo schieramento formato da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Sempre nelle prossime ore Luigi Di Maio presenterà, insieme a Bruno Tabacci, Impegno Civico. Di Maio e Tabacci: l’uomo che negli anni scorsi incontrò i leader dei Gilet gialli a Parigi e la quintessenza del Centro immobile a vocazione governativa. Stiamo registrando situazioni neppure immaginabili poche settimane fa, a ulteriore dimostrazione di come le campagne elettorali stravolgano gli equilibri. Questa più delle altre. Non si tratta soltanto di una campagna elettorale anticipata (per il voto), è qualcosa di straordinario e di inedito perché si svolge in estate. Un appuntamento caldo, perfino afoso al di là della temperatura climatica.

IL PRECEDENTE DI FROSINONE

Alle recenti elezioni comunali di Frosinone Carlo Calenda, partecipando ad un evento, disse con estrema chiarezza che Azione è equidistante dai due schieramenti principali. Molti lo hanno sentito ma non ascoltato.  A cominciare dal segretario provinciale del suo partito Antonello Antonellis, che sistematicamente e inevitabilmente scivola a sinistra. Azione aveva un suo candidato sindaco (Mauro Vicano), poi al ballottaggio ha sostenuto Riccardo Mastrangeli (centrodestra). Addirittura oggi ha un assessore, Alessandra Sardellitti. Con Calenda mai dire mai e quindi pure stavolta potrebbe ulteriormente stupire. Però la linea politica che ha indicato è cristallina: mai con i Cinque Stelle. E mai le furbate. Sì, perché se poi Letta, dopo aver archiviato (a parole) il Campo largo, decide di imbarcare flotte di ex del Movimento Cinque Stelle, non è che cambi molto.
C’è quindi il precedente delle comunali di Roma, dove Azione ha ottenuto il risultato migliore di sempre schierandosi “contro” il Pd. Inoltre tutta questa vicenda dimostra le enormi difficoltà dei Democrat sul piano delle alleanze. Congelato (non tramontato) il Campo largo con i Cinque Stelle, Enrico Letta non riesce a trovare intese con Carlo Calenda, con Matteo Renzi e con Emma Bonino. Si faccia due domande. Non è certo colpa delle Destre (confermiamo: usa il plurale, chissà perché). Senza una coalizione vera la partita si complica specialmente nei collegi uninominali maggioritari. Sono 221 e appena 46 vengono considerati “contendibili”. Termine che però non vuol dire che verranno vinti tutti da una stessa coalizione.

PERCHE’ IL CENTRODESTRA E’ IN VANTAGGIO

Anche in questo caso il Comune di Frosinone è stato un laboratorio. L’alleanza di centrodestra si è dimostrata unita e motivata. Merito soprattutto delle scelte di responsabilità e di maturità di Fratelli d’Italia. A livello nazionale nulla sta accadendo per caso: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e i centristi dell’Udc, di Noi con l’Italia e di Coraggio Italia hanno già trovato da tempo un accordo sulla suddivisione dei collegi maggioritari e stanno procedendo sia sul programma che sull’assetto del futuro governo. Sfidando perfino la scaramanzia. Lega e Forza Italia sono impegnate nella definizione dei nomi da gettare nella mischia. Su questo punto Giorgia Meloni è più cauta perché non intende scoprire le carte troppo presto. E forse anche perché ricorda il celebre motto di Giovanni Trapattoni: non dire gatto se non l’hai nel sacco. Sul piano politico comunque il centrodestra è avanti perché ha un’alleanza vera, cementata, voluta, costruita. Con dei programmi condivisi. Tranne che sul caposaldo della politica estera: la Meloni vuole far inserire come obbligatoria la clausola del pieno e incondizionato sostegno dell’Italia all’Ucraina. Per Matteo Salvini non serve. Alla fine però la soluzione verrà trovata. Nonostante tutto questo, sarebbe un errore imperdonabile considerare la partita chiusa e vinta. Non è così. Il 4 marzo 2018 ci si aspettava un pareggio a tre: centrosinistra, centrodestra, Cinque Stelle. Finì con il Movimento primo partito al 33% e con la vittoria del centrodestra che poi si divise perché Salvini portò la Lega nel governo gialloverde. Il Pd di Renzi franò facendo segnare il peggiore risultato della sua storia. Stavolta si vota ad inizio autunno dopo una campagna elettorale d’estate. Mai successo prima: è un’anomalia che determinerà sorprese.

GLI STRALI DI CONTE

Giuseppe Conte ha invitato i “traditori” ad andare via in pace. Ma l’avvocato del popolo pensa davvero di essere l’unto dal signore? Se non fosse stato per Alfonso Bonafede e Luigi Di Maio mai sarebbe entrato nell’arena politica che gli piace da morire. Il Movimento ha rappresentato la quintessenza della demagogia, del populismo e dell’assoluta incapacità di poter governare un Paese come l’Italia. Ma ciò non toglie che tantissimi di quelli che sono andati via hanno contribuito a fondarlo e a radicarlo. A quale titolo Giuseppe Conte si permette di lanciare simili “scomuniche”? Inoltre sta facendo di tutto per evitare che possano avere un ruolo sia Alessandro Di Battista che Virginia Raggi. Teme l’ombra di chiunque. Ogni tanto Beppe Grillo lo riporta bruscamente alla realtà, come sul no alla deroga per il terzo mandato. L’obiettivo minimo dell’avvocato del popolo è quello di avere comunque dei gruppi parlamentari. Sicuramente riuscirà a centrarlo, ma il ruolo del Movimento sarà marginale sia alla Camera che al Senato. Anzi, probabilmente ininfluente. Questo però non preoccupa minimamente Giuseppe Conte, che ha iniziato a confrontarsi con Michele Santoro, intenzionato a fondare il Partito che non c’è. Naturalmente alla sinistra del Pd. Ecco, poi nel Campo dei progressisti ci si meraviglia e ci si indigna perché il centrodestra è in netto vantaggio. Senza accennare minimamente ad un’autocritica per la torre di Babele quotidiana che c’è nel loro schieramento. Meglio gridare al fascista. Scommettiamo che tra poco ricorderanno che il 28 ottobre 2022 saranno trascorsi cento anni dalla marcia su Roma?

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