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Quando cadono i Draghi… il fallimento M5S, la sbandata di Letta, Salvini e Berlusconi e la ricetta sbagliata di Mattarella

Licandro Licantropo
Draghi è arrivato a Palazzo Chigi dopo il fallimento di un sistema, prima gialloverde e poi giallorosso, incapace di guidare il Paese. Ma oggi si registra il fallimento anche di un altro sistema, che è quello di fare governi che non abbiano alcuna legittimazione popolare
Luglio 21, 2022
Mario Draghi

I partiti non hanno mai sopportato Mario Draghi, lo hanno subìto. Sempre e controvoglia. Mario Draghi non ha mai sopportato i partiti: si aspettava carta bianca e gratitudine, invece si è trovato fare i conti con richieste, mediazioni, trattative, compromessi e ipocrisie. L’epilogo non poteva che essere questo. Quando una maggioranza sbarra la strada del Quirinale a quello che dovrebbe essere il proprio leader, significa che non esiste soltanto un problema. Vuol dire che non funziona nulla. Draghi è arrivato a Palazzo Chigi dopo il fallimento di un sistema, prima gialloverde e poi giallorosso, incapace di guidare il Paese. Ma oggi si registra il fallimento anche di un altro sistema, che è quello di fare governi che non abbiano alcuna legittimazione popolare, costringendo a stare dalla stessa parte Enrico Letta e Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Silvio Berlusconi.

Sicuramente i cittadini e le famiglie italiane pagheranno un prezzo altissimo: si rischia l’esercizio provvisorio del bilancio e l’aumento delle materie prime, unito alle difficoltà legate all’approvvigionamento dell’energia, non determinerà solo meno riscaldamento ma tagli di posti di lavoro. Però in una democrazia le elezioni sono la risposta, non il problema. La cura, non la malattia.

LA RESPONSABILITA’ STORICA DEI CINQUE STELLE

A determinare la crisi è stato il Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte una settimana fa, decidendo di non votare la fiducia sul Decreto Aiuti. Punto e basta. L’avvocato del popolo Giuseppe Conte non ha mai accettato di essere stato sostituito a Palazzo Chigi e, dopo la scissione di Luigi Di Maio, voleva solo una cosa: mandare a casa Mario Draghi, che ha sempre considerato un usurpatore. Ma in questi oltre quattro anni i Cinque Stelle hanno soltanto creato problemi e fibrillazioni. Cavalcando il populismo del taglio di 345 seggi parlamentari e spacciando il reddito di cittadinanza come lo strumento che avrebbe cancellato la povertà. Ricordate i festeggiamenti sul balcone?

Hanno perso per strada 49 senatori e 119 deputati, Beppe Grillo si è dimostrato non all’altezza di fare il capo (quello vero era Gianroberto Casaleggio) e ha messo alla guida del Movimento Giuseppe Conte. Il quale non c’entra nulla con i Cinque Stelle e neppure con la politica. E’ sbagliato pensare che la crisi sia stata determinata una settimana fa. I pentastellati, sulla guerra in Ucraina, hanno assunto una posizione “ostile” alla Nato e alla collocazione occidentale dell’Italia. Forse la situazione è sfuggita di mano, ma niente può cambiare il fatto che a determinare la crisi siano stati Giuseppe Conte, Rocco Casalino, Paola Taverna e i duri e puri. Nella speranza di guadagnare qualche punto nei sondaggi.

DRAGHI, LETTA E CASINI

La mozione di Pierferdinando Casini (quando il gioco si fa duro c’è sempre un democristiano che gioca duro) era stringata: “Udite le comunicazioni del presidente del consiglio dei ministri, le approva”. Nessuno spazio di confronto e di trattativa. Il centrodestra di governo aveva già detto che non avrebbe votato un testo del genere. Mario Draghi ha sbagliato a non aprire uno spazio di trattativa, così come ha sbagliato il giorno prima quando si è confrontato prioritariamente con Enrico Letta. Provocando la reazione (ma anche i sospetti) di Lega e Forza Italia. Il segretario del Pd ha pensato di voler mettere spalle al muro il resto della maggioranza. Per provare a salvare il Campo largo con i Cinque Stelle, sperando di rimettere in gioco Giuseppe Conte e all’angolo Matteo Salvini. Ha giocato il tutto per tutto, ma è andata esattamente come non voleva. Lo si è capito dai toni “drammatici” con i quali ha descritto l’attuale fase politica. Sicuramente complicata e difficile, ma non certo apocalittica. Sulla sua stessa linea Luigi Di Maio (mai scissione è stata più inutile e tardiva), Matteo Renzi, Carlo Calenda, Roberto Speranza e tanti altri. Forse però non tutti i mali vengono per nuocere e le elezioni possono rappresentare comunque un’occasione di ripartenza del Pd. Perfino all’opposizione. Quello che non si capisce è l’accanimento terapeutico per conservare l’alleanza con i Cinque Stelle, partito inaffidabile e non all’altezza di governare un Paese come l’Italia.

MELONI, SALVINI, BERLUSCONI

Il centrodestra si è ricompattato, ma attenzione a dire che “va tutto bene madama la marchesa”. Non ci sarà il tempo per cambiare la legge elettorale. Dunque si dovrà andare uniti. Come ha spiegato Alessandra Ghisleri, nella definizione delle candidature viene presa in considerazione la media dei sondaggi più attuali. Rispetto al 2018 Fratelli d’Italia chiederà molte più candidature. Lega e Forza Italia dovranno cedere il passo. Fino a che punto Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (che nell’ultima settimana sono stati in simbiosi) lo faranno? Soltanto Fratelli d’Italia è rimasta davvero sempre all’opposizione in questa legislatura, soltanto Fratelli d’Italia non è entrata a far parte della maggioranza di unità nazionale a sostegno di Mario Draghi. Non la Lega, non Forza Italia. Alle recenti amministrative il centrodestra si è diviso. Alle politiche non può farlo, ma Salvini e Berlusconi non trasmettono esattamente la sensazione di voler riconoscere in toto la leadership della Meloni. La distribuzione dei collegi sarà la prova del nove. Intanto però Matteo Salvini è riuscito a portare tutto il Carroccio allo strappo. Votando la mozione Casini avrebbe probabilmente determinato la rottura definitiva dell’asse Pd-Cinque Stelle, ma si sarebbe allontanato in modo irrimediabile da Fratelli d’Italia. Ha scelto il centrodestra.

Difficile immaginare cosa può succedere adesso in Forza Italia e se il teatrino tra Mariastella Gelmini e Licia Ronzulli è il segnale di successivi strappi. L’importante è che Silvio Berlusconi abbia colto la palla al balzo per rompere l’alleanza con i Cinque Stelle e con il Pd.

LA SOLITUDINE DI MATTARELLA

Il presidente della Repubblica, raccontano, non ha nascosto tutta la sua amarezza. Sarà lui a decidere il da farsi, Costituzione alla mano. Davvero però non ci sono strade alternative alle elezioni anticipate. Ad essere fallito però è anche il metodo che il Capo dello Stato aveva messo in campo: l’unità nazionale. La prova dei fatti ha dimostrato che non esiste. Il sistema dei partiti è fallito per le scelte politiche dei leader. Di Conte ma anche di Grillo e Di Maio. Di Salvini ma pure di Zingaretti. Di Berlusconi e di Renzi. Mario Draghi doveva essere la risposta secondo Sergio Mattarella, che non aveva calcolato sentimenti come invidia e cinismo. Oltre all’incapacità politica di molti dei protagonisti, Movimento Cinque Stelle in testa. Quando Mattarella ha accettato il bis al Quirinale ha sottovalutato che in quel momento iniziava la delegittimazione di Draghi. Ci sarà un punto da chiarire: Mario Draghi resterà in carica lui per gli affari correnti? Se così sarà, potrà levarsi parecchi sassolini dalle scarpe. Tranne Giorgia Meloni nessuno dei leader di partito può stare sereno.

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