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Vent’anni senza giustizia per Serena Mollicone

Martina Arduini
Febbraio 28, 2021
serena mollicone giustizia
Serena Mollicone

Troppe ancora oggi le ombre, i depistaggi, le incertezze che ruotano attorno all’omicidio di Serena Mollicone, uccisa nell’estate del 2001 ad Arce in provincia di Frosinone. 

Sono passati vent’anni e i responsabili non sono ancora stati condannati; per anni le indagini hanno brancolato nel buio, nel luglio del 2020 si è vista “un pò” di luce in fondo al tunnel con il rinvio a giudizio di Franco Mottola, ex maresciallo dei carabinieri di Arce, il figlio Marco Mottola, la moglie Annamaria e il maresciallo Vincenzo Quatrale accusati di concorso in omicidio, quest’ultimo anche di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi e Francesco Suprano accusato di favoreggiamento. 

Segreti e false accuse che tutt’oggi non hanno una spiegazione. Una storia costellata da tentativi di insabbiamento e perduranti silenzi, uno dei casi più intricati e oscuri della cronaca italiana che trova riscontro in un’unica grande domanda: com’è possibile che in un piccolo paese come Arce nessuno sappia la verità?

Serena Mollicone


Ripercorriamo la storia del giallo di Arce:

Il 1 giugno 2001 Serena esce di casa, non per andare a scuola come tutte le mattine ma per recarsi dal dentista ad Isola del Liri (FR), a 10 km da casa sua; dopo la visita, intorno alle 9:30 del mattino, si ferma in una pizzeria vicino la stazione ferroviaria ed acquista quattro pezzi di pizza e quattro cornetti.
Doveva quindi incontrare qualcuno? 
Da qui si perdono le sue tracce, si presume abbia preso l’autobus per far ritorno a casa dato che nel pomeriggio avrebbe dovuto incontrare il fidanzato e completare con delle amiche, la tesina di maturità. 

Sono le 12.15 di Domenica 3 giugno quando una squadra della protezione civile, (dopo l’avvistamento di un ragazzo) nel boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella (Fr) rinviene il corpo di Serena nascosto dietro un contenitore metallico, adagiato in posizione supina in mezzo ad arbusti e foglie. Le mani e i piedi legati con fil di ferro e scotch, la testa avvolta in un sacco di plastica e sfregiata da una vistosa ferita vicino l’occhio sinistro. Serena dapprima tramortita, viene dichiarata morta per asfissia dopo lunghe ore di agonia.
Sul corpo non vengono rinvenuti segni di violenza sessuale né di colluttazione.

Il 16 giugno il padre di Serena trova il telefonino della figlia nel cassetto del comodino.
Ma com’era finito lì?
L’ipotesi di depistaggio viene confermata molti anni dopo dal maresciallo Gaudio del reparto radiomobile di Pontecorvo, cittadina a 15 chilometri da Arce.
Quest’ultimo venne incaricato di effettuare una perquisizione a casa Mollicone dopo la sua morte. “Dopo la prima perquisizione – ha raccontato il maresciallo -, venne trovato il telefono di Serena nel primo cassetto del comò. Quel comò però lo avevamo già aperto. Venimmo anche a sapere che in un cassetto, non so di che stanza, era stata trovata una piccola parte di hashish. Ma quando avevamo fatto l’ispezione il 3 giugno non avevamo trovato nulla. Sul telefono – continua Gaudio nella deposizione – era stato memorizzato il numero 666, associato al nome diavolo. Secondo gli inquirenti a inserire quel numero furono gli stessi che fecero ritrovare il telefono a casa Mollicone e che tentarono così di accreditare una improbabile pista satanica.”

Ottobre 2001: Gli inquirenti trovano sul nastro adesivo legato attorno al corpo di Serena un frammento di impronta digitale che iniziano a comparare con le molteplici raccolte nei mesi passati. Si cerca l’uomo che, secondo alcuni testimoni, accompagnava spesso Serena a scuola con un auto rossa.

Novembre 2001: Gli inquirenti sequestrano una tenuta nei pressi di Arce, dove era stata organizzata una grande festa dal fine non proprio lecito, in cui era stata vista proprio Serena con delle amiche, accompagnate da un uomo con una macchina sportiva. Il padre di Serena è certo che sua figlia sia stata coinvolta da amici in un giro di droga o prostituzione. Secondo i cittadini di Arce in quel periodo c’era un giro camorristico.

Marzo 2002: I Carabinieri insieme alla Digos di Frosinone e all’Unità crimini violenti indagano su spaccio di stupefacenti e prostituzione minorile ad Arce e dintorni.

Siamo a febbraio del 2003, dopo due anni c’è un sospettato: il carrozziere trentaseienne Carmine Belli di Rocca d’Arce viene arrestato con l’accusa di omicidio volontario.
Un biglietto rinvenuto nella sua carrozzeria dello stesso dentista dove doveva andare Serena quella mattina, è schiacciante per incastrarlo. I Carabinieri di Arce inoltre, trovano in casa frammenti di scotch e un sacchetto simili a quelli che aveva Serena intorno al corpo.

Belli dopo qualche giorno la scomparsa di Serena ha testimoniato in caserma ad Arce di aver visto la ragazza in auto insieme a Marco Mottola (figlio del maresciallo Mottola) quella mattina. Testimonianza confermata anche dalla barista del “Bar della Valle” dove Serena e Marco si sarebbero fermati. Belli riesce a dare tutti i dettagli di come era vestita Serena, pantaloni neri e maglia rossa; ma ha sempre dichiarato di averla vista di sfuggita.

Luglio 2004: Dopo 17 mesi di carcere, Belli viene assolto dal giudice Biagio Magliocca. I suoi legali, Romano Misserville e Silvana Cristoforo hanno continuato a professare la sua innocenza, prova confutata dopo aver ascoltato più di 200 teste.

Gennaio 2006: Il procuratore generale ritiene illogica l’assoluzione di Belli in primo grado, così in Corte D’Assise d’appello di Roma, presieduta da Antonio Cappiello, viene richiesta una condanna a 23 anni di reclusione con l’accusa di omicidio volontario ed occultamento di cadavere. Per insufficienza di prove Belli viene assolto e grazie al legale, Edoardo Rotondi, viene scagionato definitivamente da tutte le accuse e la Cassazione respinge tutti i ricorsi.

Carmine Belli


Il 2008 è l’anno della svolta: Il brigadiere Santino Tuzi che all’epoca dei fatti lavorava nella caserma dei Carabinieri di Arce, ascoltato dalla Procura, dichiara di aver visto Serena entrare alle ore 11:30 presso la caserma e di non averla vista uscire, almeno fino alle 14:30, orario in cui Tuzi eseguiva il cambio turno. 
Tuzi stava indagando su quanto accaduto, lavorava su alcune piste riguardanti spaccio e possesso di droga all’interno dell’Arma.
Soltanto dopo qualche settimana, proprio quando doveva confermare la sua deposizione in Procura, l’uomo viene trovato morto nella sua auto. L’ipotesi è stata subito di suicidio. 

Qualcuno lo ha minacciato?, sapeva troppo?

Si presume che il suicidio sia dovuto a motivi passionali, la sua amante Rita lo aveva lasciato e al suo rifiuto Santino si sarebbe suicidato. Ipotesi non confermata dalla donna, che ha anche raccontato di un appuntamento che Tuzi aveva quella mattina del 2008 presso la Diga di Arce (dove è stato trovato morto).

La figlia Maria si è sempre detta convinta che il padre sapesse qualcosa e che era stato minacciato di ritorsioni contro se stesso e la famiglia.
Troppe le stranezze attorno al caso, ad esempio la pistola riposta perfettamente sul lato passeggero dopo il suicidio, le impronte digitali trovate solo su un lato della pistola e poi perchè Tuzi si sarebbe sparato con la mano sinistra se era destro?

La famiglia racconta a Le Iene come il padre non usciva mai fuori servizio con la pistola, quella mattina invece era andato di proposito in caserma solo per recuperare la sua pistola d’ordinanza e presentarsi all’appuntamento.
Da qui in avanti, l’attenzione si sposta all’interno della caserma dei carabinieri e dopo poco tempo si collega il suicidio di Tuzi al caso di Serena.

Vincenzo Quatrale, appuntato scelto che montava di guardia insieme a Tuzi viene indagato perchè proprio il 1 giugno 2001, avrebbe falsificato i fogli di uscita, facendo risultare che lui e Tuzi erano fuori dalla caserma per servizi esterni.


La misteriosa lettera: Ad aprile 2009 presso la redazione del programma Rai Chi l’ha visto perviene una lettera anonima da parte di un uomo che avrebbe visto, nascosto dietro i cespugli, due uomini scaricare il corpo di Serena nel bosco. Allegate anche due foto. 
Nella lettera l’uomo esorta chi di dovere ad indagare sui nomi che aveva citato, all’epoca coperti da segreto istruttorio. 

Ma il problema fondamentale resta: sono soltanto voci, mancano delle prove concrete.
Tutta la popolazione di Arce viene sottoposta alla prova del DNA ma nessuna corrisponde con quello trovato sul corpo della ragazza.
Si comparano anche piante e vegetali della città di Arce.

La prima pista concreta si apre a giugno 2011: vengono indagati quattro uomini e una donna, l’ex fidanzato di Serena, Michele Fioretti e la madre, l’ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, il figlio Marco Mottola e un carabiniere. Iniziano così una serie di operazioni di natura tecnico-scientifica e biologica per comparare i DNA. La dr.ssa Conticelli, il medico legale che fece l’autopsia, notò i capelli bagnati, come lavati accuratamente e altri particolari che facevano pensare ad una mano femminile.

Aprile 2012: Si studia la comparazione dei DNA tramite l’impronta papillare trovata sul nastro isolante utilizzato per bloccare le mani e i piedi di Serena, le tracce di sudore e sangue sul pantalone e sul maglioncino indossato dalla ragazza. I sei indagati per l’omicidio di Serena Mollicone vengono sottoposti ad altri accertamenti dattiliscopici. Intanto i Carabinieri del RACIS (raggruppamento investigazioni scientifiche) iniziano gli accertamenti tecnici per estrarre l’impronta digitale dalla ricevuta della visita ortopanoramica della studentessa di Arce.

A settembre 2015 il caso viene archiviato per mancanza di prove certe.
La famiglia di Serena si oppone fermamente alla conclusione del caso stabilita dalla Procura di Cassino e grazie al gup del Tribunale di Cassino Valerio Lanna, nel 2016 le indagini proseguono all’interno della caserma di Arce.

Marzo 2016: Viene riesumato il corpo di Serena per accertamenti medico-legali condotti dalla dottoressa Cristina Cattaneo. La perizia della specialista di cold case ha consentito di stabilire una potenziale compatibilità tra il trauma cranico della ragazza con l’ammaccatura della porta di uno degli alloggi della caserma dell’Arma; si pensa che la ragazza sia stata strattonata verso una porta e avrebbe sbattuto violentemente la testa. La porta della caserma era stata nascosta per molti anni, solo quando i Ris, dopo 15 anni dall’omicidio entrano nella caserma la ritrovano. I Mottola si sono sempre difesi dicendo che quell’ammaccatura sulla porta era dovuta ad un pugno dopo un litigio fra i due, ma la perizia, con i calchi delle loro mani, stabilirà la non compatibilità.

Nel 2017 ci sono altri due indagati per l’omicidio Serena Mollicone: si tratta di Vincenzo Quatrale, carabiniere in servizio nella caserma di Arce nel 2001, che dovrà rispondere anche di istigazione al suicidio del brigadiere Tuzi e Francesco Suprano accusato di favoreggiamento. 

Aprile 2018, vengono trovate delle microparticelle di vernice sul corpo di Serena nel corso dell’autopsia; i Ris accertano se sono compatibili con la vernice presente sui muri dell’appartamento nella caserma di Arce.

Aprile 2019. Il mancato rinvenimento di alcuni organi genitali non ha permesso all’anatomopatologa Cattaneo di effettuare ulteriori accertamenti utili ai fini dell’indagine. 
“I nuovi esami avrebbero anche rilevato la mancanza di alcune lesioni sul cranio che, si legge nella relazione, non sono state più ritrovate in seguito ai vari passaggi avvenuti negli anni successivi”. Sempre secondo Cattaneo, non vennero neanche eseguiti alcuni esami, oggi impossibili, che avrebbero potuto stabilire l’ora esatta della morte. 

La richiesta di rinvio a giudizio nel luglio 2019: La Procura chiede il rinvio a giudizio per Franco Mottola, la moglie Anna Maria, il figlio Marco e Vincenzo Quatrale accusati di concorso in omicidio, nonché quest’ultimo di istigazione al suicidio di Tuzi. Francesco Suprano è accusato di favoreggiamento. 
La decisione spetta al gup di Cassino, Domenico Di Croce, nella prima fase dell’udienza preliminare; si costituiscono parte civile contro gli indagati, i familiari di Serena, la figlia di Santino Tuzi e diversi carabinieri. 

A maggio 2020 muore Guglielmo Mollicone, il papà di Serena, a seguito di un infarto che per oltre cinque mesi lo aveva costretto a letto in un ospedale di lungodegenza. La sua forza e caparbietà non sono state vane perchè soltanto dopo due mesi, il 24 luglio 2020, a 19 anni dal delitto gli indagati vengono rinviati a giudizio.


Marzo 2021: La prima udienza nel Tribunale di Cassino: alla luce delle nuove indagini, il pm Maria Beatrice Siravo ha dichiarato che la diciottenne il giorno della sua scomparsa si è recata presso la caserma dei carabinieri, ha avuto una discussione con Marco Mottola e che lì, in un alloggio in disuso, la giovane è stata aggredita. 
La studentessa avrebbe battuto con violenza la testa contro una porta e, credendola morta, i Mottola l’avrebbero portata nel boschetto. Vedendo in quel momento che respirava ancora, l’avrebbero soffocata e sarebbero iniziati i depistaggi e le minacce, come quelle subite da Tuzi, secondo gli inquirenti terrorizzato dal dover confermare quanto aveva riferito su quel che era realmente accaduto nella stazione dell’Arma di Arce. 

L’ipotesi del pubblico ministero è che Serena Mollicone fosse andata in caserma per affrontare Marco Mottola dopo che i due erano stati insieme al bar e che fra i due fosse avvenuta una lite violenta. In un secondo momento, in aiuto del ragazzo, con ruoli diversi, sono intervenuti il padre, la madre e Vincenzo Quatrale. 
Decisiva in questo senso la testimonianza dell’allora fidanzato di Serena, Michele Fioretti, il quale ha dichiarato all’interno dell’aula di Cassino, che Serena voleva denunciare Marco Mottola per spaccio di stupefacenti.
“Il figlio del maresciallo Mottola si fa le canne e spaccia, bell’esempio per Arce. Prima o poi lo vado a denunciare”: queste le parole di Serena prima di morire. 

Tutti gli imputati hanno respinto le accuse tramite il legale Carmelo Lavorino “La porta non è l’arma del delitto perché Serena era alta un metro e 55 centimetri, il segno di rottura sulla porta è a un metro e 54 mentre la ferita sull’arcata sopraccigliare di Serena è a 1 metro e 46 da terra”, queste le sue parole. Secondo il laboratorio scientifico dell’università di Milano invece, i segni sulla porta e la ferita della Mollicone sono compatibili perché la ragazza indossava scarponcini e quindi era più alta di 155 centimetri, ed era stata spinta dal basso verso l’alto.

Il 16 aprile il Presidente della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino ha respinto le istanze delle difese per non ammettere l’Arma dei Carabinieri e il Comune di Arce come parti civili al processo. Si decide per tre udienze al mese.
Il carabiniere Francesco Suprano resta sotto processo. Il presidente della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino, il 7 maggio rigetta la richiesta dei legali del militare, accusato di aver nascosto la porta della caserma di Arce a casa sua, contro la quale Serena Mollicone avrebbe sbattuto la testa. 

A settembre riparte il processo dopo la pausa estiva, diverse le testimonianze durante l’udienza: Marco Bove per vent’anni ha sempre dichiarato: “non ricordo cosa stessi facendo quel giorno”; dopo vent’anni, l’amico di Marco Mottola, ha dichiarato dinanzi la Corte, che quel 1° Giugno era insieme a Marco presso i giardinetti di Arce. A smentirlo sono bastati i tabulati telefonici: dall’utenza fissa dell’alloggio dei Mottola in caserma quel giorno partì una telefonata verso casa Bove, un minuto e mezzo di conversazione alle 11.34, seguita sei minuti dopo da una chiamata di analoga durata da casa Bove sul cellulare di Marco Mottola.

Il presidente della Corte Massimo Capurso, ha ipotizzato la falsa testimonianza, ma anche la teste Elisa Santopadre ha raccontato che poco prima delle 11, ai giardinetti di Arce arrivarono Marco Mottola e Davide Bove. Per la difesa questa è una ricostruzione importante perchè nell’ora presunta del delitto – o meglio dell’ingresso di Serena nella vicina ed ex caserma dei Carabinieri – il figlio dell’ex comandante dei Carabinieri di Arce si trovasse in piazza in compagnia di amici, in particolare di Marco Bove come ha dichiarato quest’ultimo.

Alessandra Fraioli, amica intima e parente di Serena, 20 anni dopo l’accaduto, cambia versione e racconta: “Serena era preoccupata due giorni prima che facesse perdere le proprie tracce. La incontrai , da sola, la sera del 29 maggio 2001 in occasione della festa patronale di S.Eleuterio. L’abbracciai ma percepii la sensazione che fosse turbata ma non ho capito, all’epoca, le ragioni del suo turbamento.”
Per i legali difensori della famiglia Mottola, gli avvocati Marzella, Di Giuseppe e Germani, questa ricostruzione è tardiva anche in rapporto a quanto ha dichiarato 18 giorni dopo il delitto: “Serena non era preoccupata”.

In risposta la teste ha dichiarato: “la preoccupazione di Serena riguardava il timore del suo fidanzato dell’epoca, Michele Fioretti, che non accettasse di andare a vivere con lui a Roma”.
Anche la Fraioli, conferma l’ipotesi più volte ripetuta nelle udienze precedenti, che Serena facesse parte di un gruppo di amici dove si faceva uso di spinelli, ma non ha mai visto Mottola spacciare droga, confermato anche dalla teste e amica di Serena, Elisa Santopadre:  “E’ vero, Marco approfittava del fatto che fosse il figlio del comandante. L’ho visto più volte fumare spinelli ma mai cedere droga in cambio di qualcosa”. 

La testimonianza di Laura Ricci smonta la vecchia alibi di Marco Mottola: all’epoca fidanzata di Marco Mottola, Laura Ricci ha dichiarato un dettaglio importante: qualche giorno dopo la scomparsa di Serena, Marco ascoltato dalla polizia di Frosinone, aveva riferito che quella mattina, era insieme a Laura al bar Della Valle. L’ex fidanzatina ha chiarito di non essere al bar perché era a scuola, rintracciato anche il certificato di presenza.

Ad inizi ottobre è il turno della testimonianza del maresciallo dei Carabinieri di Arce Gaetano Evangelista (subentrato dopo Mottola), il quale racconta dinanzi la Corte D’Assise di Cassino di un “grande depistaggio”, iniziato con la stesura dei verbali redatti proprio dal maresciallo Mottola all’epoca della scomparsa di Serena: “Carmine Belli – ha precisato il maresciallo dell’Arma – riferisce della presenza di Serena Mollicone la mattina del 1° giugno davanti al bar della Valle di Fontana Liri insieme ad un giovane a bordo di una una macchina bianca, una Lancia Ypsilon. Simonetta Bianchi, titolare del bar, descrive Serena e la macchina, sempre una Y bianca, con la quale si è poi allontanata.

Nei verbali redatti in caserma dal maresciallo Mottola, contrariamente a quanto riferito dai testimoni, viene collocata la presenza di Serena Mollicone presso il bar della Valle nel pomeriggio di sabato (il giorno successivo) e sempre secondo il verbale la stessa si sarebbe allontanata in compagnia di un uomo a bordo di una macchina rotta. Nessuno ha approfondito le dichiarazioni dei due testimoni perché quelle dichiarazioni sono state raccolte dal maresciallo Franco Mottola“. Nella lunga testimonianza Evangelista illustra altri importanti aspetti: “Serena è tornata in caserma dopo il litigio in auto con Marco Mottola, per recuperare i libri e la borsetta lasciata sui sedili; chi era in caserma non può non aver sentito nulla. Le mura sono sottili e se dagli appartamenti sopra gli uffici cade una penna,  nei piani inferiori si ascolta tutto. Tuzi e Quatrale si trovavano nei rispettivi posti di lavoro quel giorno. Non possono non aver sentito”.

Novembre 2021: In aula vengono proiettate le immagini del corpo di Serena subito dopo la rimozione dei nastri dalle braccia, dalle mani e dalla testa. Proprio quei nastri adesivi, insieme ad altri reperti, nel 2001 sono stati passati sotto la lente dai carabinieri del Ris di Roma, ma delle impronte digitali ritenute utili non c’è corrispondenza con quelle degli imputati. E non solo. Le persone passate al setaccio sono state quasi 300, ma per nessuna di loro è emersa compatibilità con l’impronta.

Ricostruiti poi gli aspetti medico-legali eseguiti nel 2001 e nel 2002 dal professor Ernesto D’Aloja. Nella relazione il medico-legale ha collocato la morte della ragazza la sera del primo giugno 2001 e subito sarebbe stata trasportata nel boschetto di Fonte Cupa a Fontana Liri. A causare il decesso, invece, sarebbe stato un colpo molto forte ricevuto contro un corpo fermo e liscio, che ha prodotto una triplice frattura cranica. La porta, a specifica domanda del pm Beatrice Siravo al consulente, è stata ritenuta l’arma del delitto, il corpo contundente contro il quale sarebbe stata spinta Serena. «La vittima ha spiegato poi D’Aloia non presentava segni di colluttazione difensiva ed ha urtato contro un corpo liscio».

Il 15 luglio 2022 la Corte d’assise di Cassino ha assolto tutte e cinque le persone imputate nel processo per l’omicidio. La famiglia Mottola viene prosciolta per non aver commesso il fatto e insufficienza di prove, mentre Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano vengono assolti perché il fatto non sussiste. Cade dunque l’impianto accusatorio della procura che contestava alla famiglia Mottola l’omicidio volontario con richieste di pena fino a 30 anni. 

Il video della sentenza
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