Certamente è stata consegnata alla storia del tennis: la finale tra Sinner e Alcaraz, che ha assegnato il secondo titolo di fila allo spagnolo dopo quasi 5 ore e mezzo di lotta, ha avuto in sé i contorni del dramma, della leggenda e della… fantascienza.
Davvero difficile inquadrare nel contesto delle normali capacità tennistiche quel che i due giovani fuoriclasse del tennis mondiale hanno saputo fare sul campo in terra rossa.
Subito, come vegetazione spontanea che riempie un terreno abbandonato, sorge in chi assiste alla sfida un paragone, anzi più di un paragone: ecco la bionda chioma di Borg e, dall’altra parte della rete, la rabbia di Jimbo, al secolo Connors, l’antipatico; ecco la classe di Federer e le geometrie quasi diaboliche di Novak Djokovic, l’atleta per eccellenza. Rafa Nadal no, lui non viene in mente perché quando calcava i campi rossi della verde Francia c’era un vincitore annunciato, non una partita, ma un monologo del signore della terra rossa.
Tutte le sfide epiche tornano a popolare la mente. I fuoriclasse del terzo millennio però tirano terribilmente forte: sembrano possedere due bazooka e non due racchette. Il favorito della vigilia e campione in carica, forte del recente riscontro romano, sembra quasi spavaldo con il suo turbo-dritto a scrivere il punteggio. Ma Jannik, il ragazzo gentile, ha dalla sua la diagonale del rovescio e una prima più perfomante, anche se oggi non si vede poi troppo. Jannik il rosso delle Dolomiti ribalta il punteggio e porta a casa il primo set. Poi parte a razzo, viene raggiunto, ma torna a comandare e si prende pure il secondo dopo un tiebreak perfetto. Il pubblico francese si schiera, in modo quasi volgare. Dove sia finita la noblesse non ci è dato saperlo, un tifo da stadio accompagna il detentore in difficoltà, che accorcia le distanze dopo un terzo in cui Sinner sembra essere in riserva di energie. Non lo è, o meglio non lo è in via definitiva perchè nel quarto tira fuori l’orgoglio e riprende a martellare sull’angolo del rovescio dello spagnolo per poi chiudere con lungolinea millimetrici. Il finale sembra scritto: 5-3 per Jannik e 0-40 sul servizio di Alcaraz. Si preparano già i peana, qualche attimo di preventiva commozione germoglia e luccica sulla Torre Eiffel. Ormai solo in un film di fantascienza, o in un horror, dipende dall’angolo visuale, può cambiare il nome del vincitore. Due gratuiti di Sinner, abbagliato dalla linea del traguardo, il solito orgoglio quasi rude di Alcaraz, che non molla nemmeno quando la ragione lo riterrebbe necessario, ed ecco che il copione cambia in modo incredibile. C’è ancora il servizio però. Serve per il match, Jannik, e dopo un punto meraviglioso e sofferto, con due smash prima della stoccata finale, è sul 15 pari. Non trova più il campo però e il ristabilito equilibrio è un colpo durissimo alle sue ansie di vittoria. Perde il tiebreak del quarto e il servizio ceduto in avvio di quinto sembra un segnale di resa. Neanche stavolta è così, perché la voglia di Jannik di alzare il trofeo è davvero infinita. E così resta a ruota fino al 5-4 e controbrekka proprio in chiusura. Si va avanti e a decidere è il long tiebreak, nel quale lo spagnolo gioca come un videogame e Sinner, deluso per tutte le incredibili occasioni non colte, non può reagire.
L’ANALISI
La vittoria sul filo di lana di Alcaraz, arrivata nonostante i punti a fine match recitassero 193 Sinner 192 Alcaraz, porta a cinque i titoli major del murciano, che stacca di due l’altoatesino. In pratica il giorno che poteva sancire l’aggancio ha riportato a più due il suo antagonista principe. In classifica Sinner ha paradossalmente guadagnato, perché difendeva una semifinale e stavolta è arrivato fino all’ultimo atto, mentre Alcaraz non ha aggiunto punti, ma è riuscito a difendere il suo bottino da 2000.
Nella Race però ora lo spagnolo comanda con oltre 1800 punti di vantaggio, frutto soprattutto dei tre mesi in cui Sinner non ha potuto aggiungere punti per la forzata inattività.
Se da un lato una sconfitta di questo tipo può regalare a Sinner la certezza di aver praticamente cancellato il divario che c’era sul rosso, da un altro può ingigantire la “psicosi da Alcaraz” perché è davvero lunga la serie di successi di Carlitos, se non consideriamo il match arabo, in un torneo di esibizione in cui però c’era in palio un montepremi più alto di un major (quindi, traducendo, fu partita vera). Gli altri sembrano distanti, ad eccezione di Musetti, che è andato molto vicino al 2-0 contro Alcaraz, salvo poi cedere di schianto, per un problema fisico. Immenso orgoglio per Djokovic, ma la sensazione è che contro i “big 2” difficilmente potrà cogliere altre soddisfazioni.
In chiave azzurra restano i successi in doppio di Errani e Paolini e di Errani/Vavassori nel misto, la conferma meravigliosa non solo di Jannik, ma anche del mago Musetti e alcuni exploit (leggi Gigante) che confortano l’ipotesi di crescita di tutto il movimento. E non è poco. Appuntamento a Wimbledon.