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Una storia senza il lieto fine: il campionato del Frosinone in retrospettiva

Roberto Mercaldo
Maggio 30, 2024

E’ finita male, come tutti sanno. Ed è piovuta tanta solidarietà da ogni angolo d’Italia, perché tutti quelli che non erano interessati direttamente alla lotta per la permanenza hanno indicato nel Frosinone la squadra più brillante e più sbarazzina, la meno meritevole della discesa in cadetteria.
Però discesa è stata, con buona pace dell’impegno che dal luglio 2023 al successivo maggio la pattuglia di mister Di Francesco ha messo nella contesa. Un sontuoso girone di andata e le vittorie simbolo contro l’Atalanta ed il Sassuolo (che in quel momento da nessuno veniva ritenuta una papabile candidata alla retrocessione, come poi invece il campo avrebbe clamorosamente decretato), nonché le imprese esterne in Coppa contro il Torino e il Napoli sembravano disegnare una grandezza inconsueta e imprevedibile. Il direttore Angelozzi, il tecnico Di Francesco e soprattutto il patron, Maurizio Stirpe, invitavano però a non volare troppo in alto, perché conoscevano le insidie di un torneo ancora lungo e pieno di ostacoli. E l’ostacolo più grande è diventato all’improvviso quello degli infortuni, che hanno colpito soprattutto un reparto: la difesa. Se fosse stato un thriller, avrebbe avuto una trama un po’ scontata. Invece era realtà, c’era una forza misteriosa e insondabile che sembrava accanirsi contro i muscoli dei giallazzurri appartenenti al pacchetto arretrato. E Di Francesco, senza piangersi addosso, ha dovuto inventare Gelli e Brescianini terzini. Il funambolo Soulé, che ha chiuso comunque la stagione al primo posto nei dribbling riusciti con 101 contro i 99 di Kvaratskhelia, ha un po’ smarrito la strada del gol su azione, ma in verità istituzionalmente non gli sarebbe spettato tale compito. Gli attaccanti, dopo il momento di gloria di Kaio Jorge, purtroppo di breve durata, sono stati rappresentati compiutamente solo da Cheddira, che ha trovato nella seconda parte di stagione la forza e la convinzione per vincere quella frenesia che ne aveva pregiudicato gli estri nel girone ascendente. In un modo o nell’altro il Frosinone sembrava aver raddrizzato la barra e superato senza danni esagerati le avversità di cui si è detto. Persino quell’incredibile 3-4 in terra di Sardegna, da un 3-0 che aveva tutte le sembianze del trionfo, sembrava da annoverare tra i ricordi spiacevoli ma alla fine senza effetti sostanziali.
Mancava solo l’ultimo atto e gli incroci dei risultati delle due gare interessate recitavano otto possibilità favorevoli al Frosinone e una sola contraria: una formalità o poco più, per il calcolo delle probabilità. Una serata di tensione per la gente del calcio, che ben sapeva quanto potesse incidere la relativa per non dire inesistente motivazione della Roma, una cui sconfitta avrebbe ridotto quell’8-1 a un semplice 2-1: buoni la vittoria e il pari, e fatale la sconfitta.
Il modo in cui si è materializzata la caduta è stato un capolavoro di cattivo gusto: un tiro della malasorte e un omaggio alle cattive abitudini. Due ferite aperte nel popolo canarino, d’improvviso attonito, a meditare su qualcosa che sembrava solo un’ombra fastidiosa, prima di palesarsi come scomoda realtà. E adesso? Adesso il presidente Stirpe ha chiesto tre settimane per riflettere e per gettare le basi della prossima stagione. Una retrocessione, per quanto amara, non equivale alla bocciatura di un progetto che ha portato a 12 campionati di B, a tre promozioni in A, a due promozioni dalla C1 e a una dalla C2 alla C1, a Melfi, il giorno in cui la bella favola cominciò. E allora, leccate le ferite, il leone è pronto a ruggire ancora, in barba a un destino sgarbato e a quella dea del calcio “sì nequitosa ed empia contra un sì pio”. Eh sì, perché il calcio, a suo modo, è epica, è sogno, è roba da eroi…

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